GLOSSARIO dei TERMINI MEDICI – Parte 2° – (da Bacillo a BY PASS)
Queste informazioni rappresentano soltanto un riassunto dei significati medici e assolutamente non intendono sostituire il consiglio del medico o del farmacista.
Le informazioni contenute nelle schede non devono essere usate per diagnosticare alcuna patologia o disturbo fisico ne per prescrivere o utilizzare eventuali farmaci.
e’ sempre opportuno consultare preventivamente il proprio medico di base o in alternativa il proprio farmacista di fiducia.
SCHEDA " BACILLO "
SCHEDA ” BACILLO “
SCHEDA " BARBITURICO "
SCHEDA ” BARBITURICO “
I barbiturici sono farmaci liposolubili derivati dall’acido barbiturico, che agiscono sul sistema nervoso centrale e determinano effetti come la sedazione o l’anestesia.
Inoltre possono agire come ansiolitico, ipnotico o anticonvulsivante.
Possono anche essere usati come analgesici con effetti in questo caso piuttosto deboli.
I barbiturici possono provocare dipendenza, sia fisica che psicologica.
Sono stati ampiamente sostituiti dalle benzodiazepine in campo medico nel trattamento di ansia e insonnia, soprattutto perché queste ultime sono meno pericolose in caso di sovradosaggio.
Tuttavia i barbiturici sono ancora oggi utilizzati in anestesia generale, per l’epilessia, per il trattamento di emicrania acuta e (dove legale) per il suicidio assistito e l’eutanasia.
Il 4 dicembre 1863 Adolf von Baeyer sintetizzò l’acido barbiturico a partire dall’urea e dall’acido malonico.
Il nome si deve alla Santa festeggiata in quel giorno ed alla donna di von Baeyer che pure si chiamava Barbara, più il suffisso che ricordava la derivazione dall’urea.
Nel 1903 Emil Hermann Fischer e Joseph von Mering prepararono il barbital, il primo vero e proprio barbiturico, che fu commercializzato con il nome di Veronal.
Nel 1912 fu introdotto nel mercato un nuovo barbiturico ad attività sedativo-ipnotico, il fenobarbital con il nome commerciale di Luminal.
Tra il 1950 e il 1960 fu dimostrato che i barbiturici causano dipendenza.
Il Fenobarbital, Secobarbital, Amobarbital, Butalbital sono i barbiturici più commercializzati.
Alcuni, come il Fenobarbital, sono ampiamente usati come antiepilettici, altri sono caduti in disuso.
I barbiturici sono pericolosi, oltre che ai danni a fegato e reni dopo un uso prolungato, ad alte dosi in combinazione con un miorilassante (spesso anche senza), sono usati per praticare l’eutanasia.
Questo uso viene svolto sui condannati a morte negli Stati Uniti.
Non a caso, proprio per l’alto tasso di suicidi dovuto ad essi (è sufficiente una dose 10 volte superiore a quella terapeutica), che in alcuni paesi, come Francia e Belgio, sono stati banditi dal commercio; invece in Italia restano.
Dal punto di vista terapeutico alcuni barbiturici dal 1912 ad oggi, sono adoperati per il trattamento di alcune forme di epilessia comprendenti le crisi parziali e le crisi tonico-cloniche generalizzate.
I barbiturici sono fra quei farmaci (insieme alle benzodiazepine e ai calcioantagonisti) che, se assunti accidentalmente o deliberatamente prima dell’arresto cardiaco, riducono il metabolismo e il fabbisogno di ossigeno del cervello, aumentando le probabilità di sopravvivenza senza grave encefalopatia anossica (anche dopo prolungati tentativi di rianimazione cardiopolmonare).
Le schede contengono informazioni riguardanti la salute, la forma fisica, l’ambito medico e vari tipi di trattamenti medici riservati esclusivamente all’uso sull’uomo.
Queste informazioni rappresentano soltanto un suggerimento e non intendono sostituire il consiglio del medico o del farmacista.
Le informazioni contenute nelle schede non devono essere usate per diagnosticare alcuna patologia o disturbo fisico ne’ per prescrivere o utilizzare eventuali farmaci.
E’ opportuno consultare preventivamente sempre un medico o un farmacista.
Le informazioni sono desunte da varie fonti presenti su internet per facilitare il visitatore.
SCHEDA " BARBITURICO "
SCHEDA ” BATTERI “
Termine indicante i microrganismi unicellulari costituenti la classe degli Schizomiceti.
Hanno dimensioni microscopiche (da 0,2 a 500 µ l’ordine di grandezza più frequente è di 1 µ) e forma variabile: globosa (cocchi), allungata (bacilli), ripiegata come piccole virgole (vibrioni) o ricurva in uno o più giri di spirale (spirilli).
Possono però svilupparsi in forme di aggregazione quali ammassi, catene, filamenti.
La cellula batterica, che può essere avvolta da una capsula talora rigida, talora mucillaginosa con funzione protettiva, presenta all’interno un citoplasma con mitocondri e con un nucleotide privo di membrana nucleare.
Partendo dall’esterno si incontrano i seguenti componenti:
– cell-wall
– o parete.
Componente caratteristica del batterio che si può colorare o no con la colorazione di Gram:
i batteri Gram-positivi hanno una capsula rigida
e i batteri Gram-negativi oltre a possedere questa capsula sono ricoperti da un ulteriore strato di proteine e lipidi che svolgono importanti funzioni di protezione dell’organismo stesso.
Gli strati superficiali della cellula batterica appaiono estremamente importanti perché correlati alla patogenicità del batterio rappresentano anche il bersaglio per alcuni farmaci antibatterici che inibiscono elettivamente la sintesi del cell-wall – citoplasma cellulare.
Molto simile al citoplasma delle cellule degli organismi superiori – materiale nucleare.
Nei batteri non esiste un vero e proprio nucleo, ma il materiale nucleare è diffuso nel citoplasma.
Molti batteri sono in grado di spostarsi grazie a oscillazioni o rotazioni del corpo oppure mediante il movimento di ciglia o flagelli variamente disposti intorno alla cellula.La riproduzione avviene solitamente per scissione trasversale (da cui il nome di Schizomiceti, cioè funghi che si dividono) non manca però la riproduzione per gemmazione o mediante spore. Fisiologicamente eterogenei, i batteri possono essere aerobi, cioè vivere solo in presenza di ossigeno, o anaerobi, cioè non sopportare la presenza di ossigeno.
Per quanto riguarda l’alimentazione, la maggior parte dei batteri è eterotrofa, ovvero in grado di metabolizzare solo composti organici già sintetizzati da altri organismi.A questo gruppo appartengono le specie saprofite, parassite e simbionti.Meno numerosi sono i batteri autotrofi, che per sintetizzare le sostanze organiche necessarie al loro organismo utilizzano o l’energia luminosa (batteri fototrofi) o l’energia chimica, cioè l’energia che si libera in ossidazioni di composti minerali da essi stessi elaborati (batteri chemiotrofi).
A quest’ultimo gruppo appartengono i nitrobatteri, i ferrobatteri, i solfobatteri.
Date le loro dimensioni microscopiche e le ridotte esigenze alimentari, i batteri sono presenti ovunque: nell’aria, nell’acqua, nel suolo, nel corpo dell’uomo, degli animali e delle piante.
La loro presenza però è maggiore dove esistono sostanze organiche da demolire, da cui rimettono in libertà gli elementi costitutivi (carbonio, azoto, idrogeno, ossigeno, zolfo ecc.): ad essi si devono infatti i processi di fermentazione e di putrefazione che avvengono in natura.
Questa particolare attività batterica è sfruttata industrialmente dall’uomo, per esempio nella fermentazione acetica o nella sintesi di vitamine e antibiotici.Nonostante i batteri siano causa di gravi malattie anche per l’uomo (tifo, colera, tetano, tubercolosi, lebbra), nell’ambito dell’intera classe sono scarse le specie patogene in rapporto a quelle utili.
(info desunte da”Dizionario della salute”)
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SCHEDA " SEGNO DI BATTLE "
SCHEDA ” SEGNO DI BATTLE “
Frattura della volta o della base cranica:
fratture per lo più lineari, testimoniano che è stata applicata una forza notevole e rappresentano un fattore di rischio per LEC.
Quando la linea di frattura attraversa il percorso di un’arteria vi è rischio di emorragia epidurale.
Le fratture della base cranica possono essere sospettate per la presenza di segni clinici caratteristici:
– il segno di Battle, cioè un ecchimosi dietro l’orecchio sull’area mastoidea;
– il segno degli occhi di procione, cioè un’ecchimosi palpebrale inferiore;
– la fuoriuscita di liquor cefalorachidiano dal naso o dall’orecchio;
– l’emotimpano, cioè la presenza di sangue nell’orecchio medio; .
(info desunte da” tesi online”)
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SCHEDA " BENDAGGIO COMPRESSIVO LINFOSTATICO "
SCHEDA ” BENDAGGIO COMPRESSIVO LINFOSTATICO “
Il bendaggio linfostatico è una particolare tecnica di bendaggio che riduce o interrompe il flusso di linfa attraverso il corpo.
Si applica, per esempio, nel caso di morsi di vipera.
Bendaggio linfostatico degli arti inferiori
Eseguire un bendaggio compressivo dell’intero arto con una benda di tela robusta (o con Tensoplast), larga 10 cm e lunga circa 12 m.
Il bendaggio va eseguito dal ginocchio al piede, poi di nuovo verso l’alto fino alla coscia. La benda deve essere disposta a spina di pesce.
Bendaggio linfostatico degli arti superiori
Una premessa banale, ma importante, è togliere anelli ed orologi prima che un’eventuale tumefazione (es. morso di vipera) ne impedisca la fuoriuscita.
Eseguire, quindi, un bendaggio compressivo dell’intero arto con una benda di tela robusta (o con Tensoplast), larga 7 cm e lunga 6 m.
Il bendaggio va eseguito dal gomito alla mano, poi di nuovo verso l’alto fino alla spalla.
La benda deve essere disposta a spina di pesce.
(info desunte da” wikipedia”)
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SCHEDA " BENZODIAZEPINE "
SCHEDA ” BENZODIAZEPINE “
Le benzodiazepine (BZD) sono una classe di farmaci aventi proprietà ansiolitiche, sedativo-ipnotiche, anticonvulsivanti, miorilassanti e anestetiche, e, soprattutto, sono in grado di ridurre l’ansia e le sue manifestazioni fisiologiche, come palpitazioni, sudorazione, colon irritabile, etc.
A partire dalla fine degli anni ’50, le benzodiazepine hanno totalmente sostituito i barbiturici grazie ai minori effetti collaterali prodotti da chi le ingeriva regolarmente.
Le BZD essendo farmaci possono essere prescritti solo dal medico e la scelta del tipo di benzodiazepine dipende dal disturbo che è stato diagnosticato e dagli obiettivi che si vogliono raggiungere.
La storia
Le benzodiazepine sono farmaci derivati dal clordiazepossido, sostanza introdotta negli anni ‘60, avente proprietà sedative e ipnotiche che variano a seconda della molecola.
La struttura del clordiazepossido, fu sottoposta a delle modificazioni nel tentativo di ottenere farmaci con caratteristiche migliori. Nel 1959 fu sintetizzato il diazepam, una benzodiazepina fino a 3-10 volte più potente del clordiazepossido. Il diazepam fu commercializzato nel 1963 con il nome commerciale di Valium.
Successivamente, la ricerca nel campo delle benzodiazepine ha continuato a svilupparsi, ottenendo numerose nuove molecole utilizzate ancora oggi.
Il meccanismo d’azione delle benzodiazepine
Le benzodiazepine agiscono stimolando il sistema GABA-ergico, cioè il sistema dell’acido γ-amminobuttirico.
Il GABA è un γ-amminoacido ed è il principale neurotrasmettitore inibitorio del cervello. Il GABA si lega ai suoi specifici recettori: il GABA-A, il GABA-B e il GABA-C.
Sul recettore GABA-A è presente un sito di legame specifico per le BZD, che legandosi a questo sito specifico, attivano il recettore e promuovono la cascata di segnali inibitori indotta dal GABA stesso.
L’azione naturale del GABA è, dunque, potenziata dalle benzodiazepine, le quali esercitano un’influenza inibitoria sui neuroni.
Quindi, le benzodiazepine sono attive solo in presenza del GABA e, di conseguenza, l’azione sedativa è limitata alla quantità di GABA presente, a differenza dei barbiturici, che agiscono direttamente sul flusso di ioni cloro.
Tipi di benzodiazepine
Le benzodiazepine possono essere classificate in funzione della loro emivita plasmatica, ovvero la durata d’azione che mostra il farmaco.
Si hanno BZD a emivita breve o brevissima, 2-6 ore.
A questa classe appartengono il triazolam e il midazolam; emivita intermedia, 6-24 ore, a questa categoria appartengono l’oxazepam, il lorazepam, il lormetazepam, l’alprazolam e il temazepam; emivita lunga, 1-4 giorni, tra cui il clordiazepossido, il clorazepato, il diazepam, il flurazepam, il nitrazepam, il flunitrazepam, il clonazepam, il prazepam e il bromazepam.
Non esiste una corrispondenza diretta tra emivita plasmatica e rapidità d’azione, in quanto, alcuni farmaci sono metabolizzati in altri composti attivi che ne prolungano la durata d’azione.
Effetti collaterali
Le benzodiazepine sono considerati farmaci sicuri e sono dotati di una bassa tossicità. Inoltre, possiedono un elevato indice terapeutico, ovvero si ottengono buoni risultati sui pazienti.
Raramente un sovradosaggio da BZD può avere esiti fatali, a meno che non siano stati contemporaneamente assunti altri farmaci o sostanze in grado di deprimere il sistema nervoso centrale, come barbiturici, oppioidi, alcool o droghe.
In ogni caso, si ricordano i seguenti effetti collaterali da esse prodotte: la sedazione eccessiva, la sonnolenza diurna, la confusione, la depressione, i disturbi della coordinazione, l’atassia e i disturbi della memoria, tra cui l’amnesia anterograda.
Le benzodiazepine possono presentare anche dei sintomi paradosso, come irritabilità, rabbia, collera, irrequietezza, etc.
La sedazione dell’ ansia comporta una certa riduzione della vigilanza, che a dosi elevate induce sonnolenza. Ciò comporta un maggior rischio di incidenti, automobilistici e sul lavoro.
L’alcol potenzia gli effetti collaterali appena elencati.
Chiaramente, anche le benzodiazepine, come altri psicofarmaci, provocano dipendenza fisica e psichica.
Una volta che la dipendenza fisica si è instaurata una interruzione brusca del trattamento può portare all’insorgere di sintomi d’astinenza.
In ogni caso, la terapia deve essere sempre scalata gradualmente e non interrotta bruscamente.
Infine, un uso prolungato di benzodiazepine porta a tolleranza verso la sostanza.
Cioè si può andare incontro ad una riduzione degli effetti indotti dal farmaco, per cui è necessaria l’assunzione di dosi sempre maggiori per ottenere l’effetto desiderato.
(info desunte da” Il giornale delle scienze psicologiche”)
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SCHEDA " B I L E "
SCHEDA ” B I L E “
La bile o fiele è un liquido basico di colore giallo-verde secreto dal fegato della maggior parte degli animali vertebrati.
In molte specie essa, una volta prodotta dal fegato, viene immagazzinata e modificata nella cistifellea durante il periodo di digiuno e iniettata nel duodeno durante l’assunzione di cibo.
La bile svolge due funzioni principali: collabora ai processi della digestione e dell’assorbimento dei grassi alimentari e consente l’eliminazione dall’organismo di prodotti indesiderati (bilirubina, colesterolo, sostanze tossiche e metaboliti di farmaci).
In condizioni normali la produzione giornaliera di bile epatica è di 600-1000 ml.
Questa viene modificata nella colecisti, in particolare la concentrazione della bile epatica aumenta di 5-20 volte.
Chimicamente la bile è formata da acqua e soluti: sali biliari (acidi biliari coniugati con glicina o con taurina), che costituiscono circa il 70% dei soluti, 22% di fosfolipidi (soprattutto lecitina), 4% colesterolo non esterificato, 0,3% pigmenti biliari (bilirubina) e proteine (4,5%).
I sali biliari sono rappresentati per il 95% circa da acido colico, acido chedeossicolico e acido deossicolico (in rapporto 1,1:1:0,6), mentre il restante 5% è costituito principalmente da acido ursodeossicolico e acido litocolico.
Il rapporto tra acidi biliari coniugati con glicina o con taurina è di circa 3:1.
La bile epatica ha un pH di 7,8 e contiene: 97% di acqua, 1-2% di sali biliari, 0,1 di colesterolo, 0,04% di bilirubina.
La bile colecistica ha un pH di 7,2 e contiene: 92% di acqua, 6% di sali biliari, 0,3-0,9% di colesterolo, 0,3% di bilirubina).
La presenza nella bile di componenti insolubili in acqua e di sostanze anfipatiche ovvero solubili sia in acqua che nei lipidi, come fosfolipidi e acidi biliari, fa sì che la bile si presenti come una soluzione micellare, nella quale il rapporto acidi
biliari/lecitina/colesterolo è di 10:3:1. Grazie agli acidi biliari e alla lecitina la solubilità in acqua del colesterolo aumenta di oltre 1 milione di volte.
Nella bile gli acidi biliari e la lecitina si aggregano a formare micelle, vescicole unilamellari e vescicole multilamellari, originate dalla fusione di quelle unilamellari.
Le micelle semplici costituite da soli acidi biliari hanno una scarsa capacità di incorporare il colesterolo.
La lecitina consente la formazione delle micelle miste (acidi biliari-lecitina) che hanno la proprietà di incorporare la maggiore quantità di colesterolo.
Infatti, pur essendo scarsamente solubile in acqua, la lecitina possiede una maggiore polarità rispetto agli acidi biliari.
Grazie a questa caratteristica, la lecitina facilita la formazione delle micelle miste.
Il colesterolo, quando la sua concentrazione si mantiene bassa (bile insatura), è contenuto soprattutto nelle micelle semplici e miste.
A maggiori concentrazioni, una quota crescente si rinviene anche nelle vescicole di lecitina.
Mentre le vescicole unilamellari sono stabili, quelle multilamellari sono instabili e permettono la formazione di cristalli di colesterolo.
Produzione
La bile è prodotta dagli epatociti (cellule del fegato) e secreta nei numerosi dotti biliari che penetrano nel fegato. Durante questo processo, le cellule epiteliali dei dotti aggiungono una soluzione acquosa, ricca in bicarbonati che diluisce e aumenta l’alcalinità del liquido.
La bile quindi fluisce nel dotto epatico comune, che si unisce con il dotto cistico proveniente dalla cistifellea a formare il dotto biliare comune o coledoco.
Il dotto biliare comune può aprirsi sull’apice della papilla duodenale oppure, confluendo con il dotto pancreatico principale, dà luogo alla formazione di una dilatazione, l’ampolla del Vater, attraverso la quale sfocia nel duodeno.
Lo sbocco dell’ampolla di Vater nel duodeno è regolato dallo sfintere di Oddi, quando questo è chiuso, alla bile è impedito il refluire nell’intestino e fluisce invece nella cistifellea, dove viene immagazzinata e concentrata fino a cinque volte fra i pasti.
Tale concentrazione avviene attraverso l’assorbimento di acqua ed elettroliti, conservando però le sostanze originali.
Il colesterolo è anche rilasciato con la bile e disciolto negli acidi e i grassi biliari.
Quando il cibo è rilasciato dallo stomaco nel duodeno sotto forma di chimo, la colecisti rilascia la bile concentrata per completare la digestione.
Il fegato umano è in grado di secernere quasi un litro di bile al giorno (in base al peso corporeo).
Il 95% dei sali secreti nella bile vengono riassorbiti nell’intestino ileo terminale e riutilizzati.
Il sangue dall’ileo fluisce direttamente nella vena porta del fegato e li riporta nei dotti biliari per essere riusati, anche due o tre volte per pasto.
Funzione fisiologica
La bile funge per un certo grado da detergente, aiutando a emulsionare i grassi e partecipa così al loro assorbimento nel piccolo intestino; quindi ha parte importante nell’assorbimento delle vitamine liposolubili D, E, K e A che si trovano nei grassi.[14] Oltre alla funzione digestiva, la bile serve anche all’eliminazione della bilirubina, prodotta dalla degradazione della emoglobina, che le dà il tipico colore; neutralizza anche l’eccesso di acidità nello stomaco prima di arrivare nell’ileo, la sezione finale del piccolo intestino. I sali biliari hanno anche un effetto battericida dei microbi nocivi introdotti con il cibo.
Patologie correlate alla bile
Il colesterolo contenuto nella bile può talvolta conglomerarsi nella colecisti, formando così i calcoli biliari.
Dopo un uso eccessivo di bevande alcoliche, il vomito può essere verde: il componente verde è la bile.
In assenza di bile, i grassi diventano indigeribili e sono invece escreti con le feci, che in quel caso perdono il loro caratteristico colore marrone e sono invece bianche o grigie, e grasse.
Ciò causa problemi significativi alla parte finale dell’intestino perché normalmente tutti i grassi sono assorbiti nel duodeno, mentre l’intestino e la flora batterica non sono in grado di elaborarli oltre questo punto.
Storia
Nella medicina ippocratica la bile faceva parte dei quattro fluidi vitali della teoria umorale, ovvero dei fluidi che costituivano il fondamento della fisiologia dell’organismo umano: bile gialla, bile nera, flegma e sangue.
In questa teoria, formulata in maniera compiuta specialmente nell’opera “Sulla natura dell’uomo” del genero di Ippocrate, Polibio, la bile gialla (a volte detta icore) era considerata prodotta dal fegato, la bile nera dalla milza, il sangue dal cuore e il flegma dal cervello. La teoria dei quattro umori ha avuto una grande influenza su tutta la medicina antica (in particolare su Erasistrato della scuola medica alessandrina e sul medico romano Galeno) e medievale.
Contrariamente alla teoria umorale ippocratica, Aristotele, nella terzo libro della sua opera biologica “Parti degli animali” (III, 677b), considera la bile come una scoria, un residuo inutilizzabile prodotto dal fegato allo scopo di mantenere la propria integrità: unica scoria prodotta direttamente da un viscere, proprio in considerazione dell’importanza capitale che quest’organo rivestiva (insieme al cuore) tra tutti i visceri.
Il nome greco dei termini diede origine alle parole “collera” (bile gialla) e “malinconia” (bile nera).
Si pensava che la bile eccessiva producesse un temperamento aggressivo, noto come “collerico”.
Questa è l’origine della parola “bilioso”.
La depressione e altre patologie mentali (malinconia) erano collegate a un eccesso di bile nera.
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SCHEDA " B I O P S I A' "
SCHEDA ” B I O P S I A’ “
La biopsia è un esame medico diagnostico che consiste nel prelievo da un organismo vivente di una porzione o di un frammento di tessuto per essere analizzato al microscopio o anche con tecniche di microbiologia o biologia molecolare.
La biopsia viene eseguita al fine di escludere o confermare un sospetto di malattia (ad es. infiammazione o tumore), cioè di arrivare a una diagnosi istopatologica, sulle basi di osservazioni cliniche, radiologiche o strumentali, e quindi di definirne con precisione le caratteristiche (gravità, estensione, possibili terapie).
Può essere effettuato sia in tessuti duri, come l’osso ad esempio, che in tessuti molli, come cute e mucosa
Classificazione
La biopsia effettuata sui tessuti molli può essere incisionale, dove si asportano uno o più frammenti della lesione esaminata, ed escissionale, nella quale avviene l’asportazione completa della lesione.
Descrizione della procedura
Il prelievo di tessuto può avvenire per via percutanea, sotto guida TAC o ecografica, per via endoscopica (ad es. nel contesto di una gastroscopia, colonscopia o broncoscopia) mediante prelievo con ago (agobiopsia) o mediante escissione nel contesto di un intervento operatorio.
Il tessuto così ottenuto viene inviato in un laboratorio di anatomia patologica dove viene processato.
Per consentire l’allestimento di preparati osservabili al microscopio, il tessuto viene prima fissato in formalina, quindi incluso in paraffina.
Il campione così ottenuto può essere tagliato in fette dello spessore di 2-4 micron e montato su un vetrino portaoggetti.
Sarà un medico specialista in anatomia patologica a valutare al microscopio il vetrino e a formulare la diagnosi.
Nei giorni successivi all’intervento, il paziente non deve toccare o grattare i punti di sutura, effettuare movimenti che mettono in tensione o possono urtare la zona interessata (come spostare pesi, ginnastica, ecc.), o infiammarla (es. il sudore o acqua calda).
Talora sono applicati cerotti intradermici che non devono venire a contatto con l’acqua e vanno tenuti finché non sono tagliati i punti di sutura, un cerotto ulteriore di protezione da sostituire ogni due giorni con applicazione di pomate se la zona è infiammata, ed è prescritto l’uso di neomercurio-cromo (anche in assenza di infiammazioni) che favorisce la chiusura della cicatrice.
Nei mesi successivi al taglio dei punti di sutura, la cicatrice può riemarginarsi completamente, diventare ipertrofica o un cheloide (tumorale).
Fra i rimedi non chirurgici: iniezioni di corticosteroidi (che inibiscono la crescita di tessuto, sia con la riproduzione dei fibroblasti che la sintesi di collagene,) e l’applicazione di fogli di silicone.
Valore clinico
Nella medicina moderna la biopsia svolge un ruolo fondamentale nella terapia di molte malattie.
È la diagnosi bioptica che guida il clinico e in particolare il chirurgo nella scelta della terapia a cui sottoporre il paziente.
In molte malattie, in particolare in quelle tumorali, la biopsia, oltre a fornire la diagnosi, può fornire informazioni sulla prognosi, ovvero sul prevedibile decorso della malattia.
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SCHEDA " BLS (BASIC LIFE SUPPORT) "
SCHEDA ” BLS (BASIC LIFE SUPPORT) “
Il Basic Life Support (in italiano sostegno di base alle funzioni vitali, noto anche con l’acronimo BLS) è una tecnica di primo soccorso che comprende la rianimazione cardiopolmonare (RCP) e una sequenza di azioni di supporto di base alle funzioni vitali.
La definizione BLS/D si riferisce al protocollo BLS con l’aggiunta della procedura di defibrillazione (che è lo standard progressivo nei corsi di formazione per soccorritori).
Lo scopo di tale tecnica è quello di mantenere ossigenati il cervello e il muscolo cardiaco, insufflando (con il rischio di contaminazioni se in presenza di sangue o altro materiale organico) nel caso in cui si presenti la situazione ci sono gli insufflatori che non danno contatto diretto con la persona ed è comunque sempre consigliabile l’arrivo di esperti per poter immettere artificialmente aria nei polmoni provocando, per mezzo di spinte compressive sul torace, un minimo di circolazione del sangue.
Il rischio principale collegato alla mancanza di soccorso in questi casi è il danno anossico cerebrale; si tenga a tal proposito presente che l’ossigeno (necessario appunto al cervello) è presente nell’aria-ambiente in percentuali medie del 21%, mentre quello presente nell’aria espirata dai polmoni è circa del 16% (vale a dire che, respirando, consumiamo soltanto circa un quinto dell’ossigeno presente nell’aria); questa constatazione ci fa capire come l’intervento con la respirazione artificiale semplice (con la bocca) o con la respirazione artificiale evoluta (pallone auto-espandibile, bombola di ossigeno, soccorso avanzato) possa realmente fare la differenza, giacché praticando la classica respirazione bocca a bocca, il soccorritore insufflerà nei polmoni della vittima un’aria il cui ossigeno è già stato parzialmente utilizzato (poiché il soccorritore ha inspirato ed espirato quell’aria), e perciò sarà un’aria meno efficace.
Altrettanto importante è la tempestività dell’intervento: dall’inizio dell’arresto cardio-circolatorio, mediamente le probabilità di sopravvivenza diminuiscono del 7-10% ogni minuto; già dopo 9-10 minuti, in assenza di RCP (sigla di Rianimazione Cardio-Polmonare), è molto difficile se non impossibile sperare il recupero del danno anossico cerebrale definitivo (ma i primi gravi danni al cervello si riscontrano dopo già 4 minuti di mancanza di ossigeno).
Il BLS laico La procedura di seguito descritta si basa sulle linee guida dell’European Resuscitation Council, ed è pensata per essere eseguita da chiunque (anche personale non sanitario). Per questo non richiede capacità mediche né l’utilizzo di particolari attrezzature.
Per questo è definito “BLS laico”. La procedura che prevede l’utilizzo di presidi (pallone Ambu, cannula faringea, ecc.), è pensata per il personale medico-infermieristico e per i soccorritori certificati ed abilitati.
Fare sempre riferimento al 118 (Numero Unico Emergenze 112 in alcune regioni) prima di intervenire in qualunque modo sui pazienti, soprattutto se esposti a trauma. Nel caso ci si trovasse nella situazione di dover applicare il BLS si consiglia fortemente, se si è a conoscenza di questa procedura, di intervenire.
Si consiglia inoltre a tutti di frequentare i corsi gratuiti alla cittadinanza organizzati dalle varie organizzazioni di soccorso presenti sul territorio: la spiegazione è sicuramente più approfondita di quella che può dare la semplice lettura di un testo e in più c’è la presenza di simulazioni pratiche.
Va detto inoltre che le linee guida dell’ERC cambiano e si aggiornano col tempo: le ultime sono quelle del 2015, che apportano non poche modifiche alle precedenti (ricerca del punto di compressione, entità dell’insufflazione, ecc.)
Valutazione della scena
All’arrivo sulla scena, prima di effettuare qualsiasi azione sul soggetto, il soccorritore deve accertarsi che la zona in cui agisce sia priva di pericoli che potrebbero pregiudicare la salute del soccorritore e dell’assistito.
Per esempio, è necessario prestare la massima attenzione nell’accertarsi che il soggetto non sia a contatto con parti sotto tensione, che non vi siano odori di gas o liquidi dannosi, che non siano presenti cavi elettrici sotto tensione; un altro fattore da tener presente è, d’inverno, la possibile fuoriuscita di monossido di carbonio da caldaie o stufe malfunzionanti.
Nel caso in cui la zona non sia sicura è necessario avvertire le autorità competenti, ad esempio i Vigili del fuoco.
Se la zona è sicura, allora è possibile procedere con le manovre del BLS. La rianimazione viene praticata esclusivamente su un soggetto incosciente, che non risponde al richiamo verbale e agli stimoli tattili (per esempio, se scosso).
Valutare se il soggetto è vittima di un malore oppure di un trauma; nel secondo caso non muovere il paziente e contattare immediatamente il 118.
Nel caso in cui, trovandosi di fronte alla vittima incosciente di un trauma, si debba obbligatoriamente intervenire (non c’è possibilità di chiamare soccorsi oppure si è preposti a questa funzione: es. assistente bagnanti, personale medico, ecc.), bisogna sapere che il BLS avrà due procedimenti leggermente diversi a seconda che si tratti di malore (o l’annegamento) o specificamente di trauma; perciò va detto che quando non si ha la possibilità di valutare con certezza la causa dell’evento (per es. non si era presenti e non ci sono né testimoni né segni evidenti di cosa possa essere avvenuto), bisogna agire considerando l’infortunato vittima di “trauma sospetto”, operando quindi appunto come se il trauma fosse realmente avvenuto.
Valutazione dello stato di coscienza
Il soccorritore che ha valutato che il luogo in cui si trova e in cui deve operare è sicuro, incomincia la valutazione dello stato di coscienza. La comunicazione con la persona deve avvenire sfruttando tutti i cinque sensi.
Posti di fronte al corpo steso, per evitare movimenti del collo dell’infortunato, la persona deve essere scossa leggermente per le spalle e chiamata ad alta voce. Si noti che il solo stimolo vocale può risultare inutile in caso di persone sorde.
Nell’eseguire questa operazione, il soccorritore presterà attenzione nel reggere una mano dell’assistito, per prevenire la propria incolumità nel caso questo si risvegli e, in preda al panico o sotto l’effetto di stupefacenti, tenti di aggredire il soccorritore.
Se il paziente non reagisce, allora la persona è definita incosciente e va fatta immediata richiesta a chi ci sta vicino di chiamare il Numero telefonico per le emergenze mediche 118 e/o 112 ; il NUE 112 è operativo solo in alcune parti del territorio italiano (il progetto è stato avviato in via sperimentale il 21 giugno 2010 a Varese per la regione Lombardia), 112 nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea e 144 in Svizzera, dichiarando che la persona è in stato di incoscienza.
Nel caso in cui il paziente sia cosciente, può essere comunque allertata la centrale per l’invio di personale qualificato al fine di controlli più accurati. Valutato lo stato di coscienza, si prosegue con le manovre di BLS.
ABC
La seconda fase del BLS consiste in una procedura che viene denominata ABC, dalle iniziali delle parole inglesi Airway, Breathing, Circulation.
Per iniziare l’ABC il soccorritore deve porre la persona su un piano rigido (generalmente per terra) con gli arti e la testa allineati in posizione supina (pancia in alto) e con il torace scoperto. Nel fare ciò si deve tenere presente che l’infortunato può aver subito un trauma e quindi presentare lesioni al rachide cervicale.
A questo punto si inizia la valutazione vera e propria. A: Airway
Il pericolo che corre una persona incosciente è l’ostruzione delle vie aeree: anche la stessa lingua può cadere all’indietro e impedire la respirazione, a causa della perdita di tonicità della muscolatura.
Prima di ogni altra cosa si procede al controllo del cavo orale tramite la “manovra a borsellino” che si effettua ruotando assieme l’indice e il pollice sulla bocca del paziente, come se si dovesse aprire un portaspiccioli.
Se sono presenti oggetti che ostruiscono le vie respiratorie vanno rimossi, con pinze, non introducendo mai le dita in bocca all’infortunato e facendo attenzione a non spingere il corpo estraneo ancora più in profondità.
Se è presente acqua o altro liquido (per esempio dopo un annegamento) bisognerà inclinare lateralmente la testa dell’infortunato per permettere al liquido di fuoriuscire, mentre se c’è il sospetto di un trauma del rachide cervicale, bisognerà ruotare su un fianco l’infortunato in modo da non muovere il collo.
Una volta verificata la pervietà delle vie aeree e quindi l’assenza di oggetti che possano ostruire il passaggio dell’aria si effettua l’iperestensione della testa, proprio per evitare un auto-soffocamento con la lingua (questa manovra va fatta successivamente all’ispezione orale per non spingere ancora più in basso eventuali corpi estranei presenti all’interno).
Per effettuare la manovra dell’iperestensione, vanno poste una mano sulla fronte, per portare indietro la testa, e due dita sotto il mento, per sollevarlo.
La manovra di iperestensione non dovrà essere violenta né brusca (il collo è molto delicato) ma dovrà comunque essere efficace. Sempre per questa ragione, nel caso vi sia un trauma cervicale anche solo sospetto, l’iperestensione dovrà essere sempre evitata insieme con tutti gli altri movimenti del paziente: solo se dovesse rendersi assolutamente necessaria (in caso ad esempio di un paziente in arresto respiratorio), la manovra dovrà essere solo parziale.
La posizione di iperestensione va mantenuta fino alla fine della valutazione ABC.
B: Breathing
La fase GAS.
Dopo la fase di Airway è necessario controllare se l’infortunato respira. La posizione ideale per farlo è accostare la guancia alla sua bocca (a circa 3–5 cm), avendo preventivamente scoperto il torace dagli abiti, osservo il torace. Questa manovra è detta “GAS” che sta per Guardo, Ascolto, Sento:
Guardare il movimento del torace
Ascoltare il respiro
Sentire il flusso d’aria sulla guancia
Questa osservazione deve essere mantenuta per 10 secondi, contando ad alta voce, mantenendo la testa del paziente iperestesa nel caso si sia certi dell’assenza di un trauma, (nel trauma è necessario mantenere la posizione neutra del capo e liberare le vie aeree a mezzo della sublussazione della mandibola, onde evitare lesioni al rachide cervicale). Contare ad alta voce serve a chi interviene nel frattempo, e conosce i fondamenti della BLS, a capire senza interrompervi che può essere necessario il suo aiuto.
È necessario fare attenzione a non confondere ansimi e gorgoglii emessi in caso di arresto respiratorio con la respirazione normale.
C: Circulation
Mentre si effettua la manovra GAS il soccorritore valuta se sono presenti elementi che manifestino la presenza di circolazione interna: movimenti della persona, degli arti, colpi di tosse, respiro.
La manovra è definita MO.TO.RE. (MOvimenti, TOsse, REspiro). Oltre a queste due operazioni, è possibile la ricerca del polso, preferibilmente carotideo (premere con i polpastrelli di indice e medio sulla carotide, posta lateralmente al pomo di Adamo), giacché permette la percezione di battito cardiaco anche a una pressione arteriosa sistolica (massima) di 50 mmHg, mentre il polso radiale e femorale non permettono di reperire battito con pressione arteriosa sistolica inferiore a 80 mmHg.
Comunque, poiché non è facile cercare il polso carotideo soprattutto se non si è esperti, la presenza di MO.TO.RE., anche quando il polso carotideo non è apprezzabile, è una prova certa che il cuore sta battendo.
La ricerca di segni di circolo (MO.TO.RE.) non deve in nessun modo ritardare le operazioni di soccorso, per cui in caso di dubbio, si assume che l’attività cardiaca sia assente.
In assenza di MO.TO.RE. è indispensabile incominciare la rianimazione cardio-polmonare RCP.
Se si è da soli a soccorrere si chiama in questo momento il 118. Se i soccorsi sono stati già chiamati, è importante confermare che c’è una persona in arresto respiratorio e senza segni di circolo.
BLS nei neonati
Il metodo per la BLS nei bambini da 12 mesi a 8 anni è analogo a quello utilizzato per gli adulti.
Ci sono tuttavia delle differenze, che tengono conto della minore capacità polmonare dei bambini e del loro ritmo di respirazione più veloce. Inoltre, è necessario ricordare che le compressioni devono essere meno profonde di quanto sia necessario negli adulti.
Si comincia con 5 insufflazioni, prima di procedere al massaggio cardiaco che ha un rapporto fra compressioni e insufflazioni di 15:2. A seconda della corpulenza del bambino, si potranno effettuare compressioni con entrambi gli arti (negli adulti), un arto solo (nei bambini), o anche soltanto due dita (indice e medio al livello del processo xifoideo nei neonati).
In ultimo va ricordato che, dal momento che nei bambini la normale frequenza cardiaca è più elevata che negli adulti, in presenza di un bambino che presenti attività circolatoria con frequenza cardiaca inferiore a 60 puls./min bisognerà comportarsi come in caso di arresto cardiaco.
Le schede contengono informazioni riguardanti la salute, la forma fisica, l’ambito medico e vari tipi di trattamenti medici riservati esclusivamente all’uso sull’uomo.
Queste informazioni rappresentano soltanto un suggerimento e non intendono sostituire il consiglio del medico o del farmacista.
Le informazioni contenute nelle schede non devono essere usate per diagnosticare alcuna patologia o disturbo fisico ne’ per prescrivere o utilizzare eventuali farmaci.
E’ opportuno consultare preventivamente sempre un medico o un farmacista.
Le informazioni sono desunte da varie fonti presenti su internet per facilitare il visitatore.
SCHEDA " BLENORRAGIA "
SCHEDA ” BLENORRAGIA “
Gonorrea (o blenorragia)
Informazioni generali
La gonorrea o blenorragia, è una malattia sessualmente trasmissibile causata dal batterio Neisseria gonorrhoeae, che infetta le vie uretrali nell’uomo e le vie uro-genitali nella donna.
Nota anche come “scolo”, la gonorrea è una delle malattie sessualmente trasmesse più diffuse al mondo. Può essere asintomatica, ma può anche evolvere e complicarsi causando batteriemie e sterilità.
Trasmissione
La gonorrea si trasmette con i rapporti sessuali non protetti.
Il contagio può avvenire attraverso rapporti vaginali, orali o anali con un partner infetto.
L’infezione può anche essere trasmessa da madre a figlio durante il parto.
Per crescere e riprodursi, il batterio Neisseria gonorrhoeae ha bisogno di un ambiente caldo e umido.
Gli organi genitali femminili come l’utero (inclusa la cervice), le tube di Falloppio e l’uretra, sia nella donna sia nell’uomo, sono ambienti ideali per la sua crescita e la sua riproduzione.
L’infezione può svilupparsi anche al livello della bocca, della gola, degli occhi e del retto.
Una volta avvenuto il contatto, il microrganismo aderisce alle cellule epiteliali e penetra nello spazio sub-epiteliale dove provoca l’infezione.
Sintomi
Molto spesso la gonorrea è asintomatica, soprattutto nelle donne.
Negli uomini i sintomi possono comparire da due a trenta giorni dopo l’infezione e consistono soprattutto in bruciore durante l’orinazione o perdite di colore bianco, giallo o verde dal pene.
A volte si segnala dolore o gonfiore ai testicoli.
La maggior parte delle donne non presenta sintomi.
Se presenti, sono in genere molto lievi e difficilmente distinguibili da altre infezioni della vagina o della vescica.
I sintomi iniziali sono: bruciore durante l’orinazione, aumento delle secrezioni vaginali e perdite di sangue tra un ciclo mestruale e l’altro.
Nelle donne l’infezione può avere serie complicazioni, indipendentemente dalla gravità dei sintomi.
Le infezioni rettali sono in genere asintomatiche, ma possono manifestarsi, sia nell’uomo sia nella donna, con: perdite, prurito anale, irritazione, sanguinamento o dolorosi movimenti intestinali.
La diffusa assenza di sintomi tra le persone infette rende più complicata la diagnosi e più facile il contagio.
Complicazioni
Se non trattata, la gonorrea può avere conseguenze gravi e permanenti.
Nelle donne può causare la malattia infiammatoria delle pelvi (pelvic inflammatory disease, Pid), un’infezione del tratto genitale superiore che può provocare febbre, dolore addominale, ascessi interni e dolori pelvici cronici.
L’infiammazione può danneggiare le tube di Falloppio, causando infertilità, e aumentare il rischio di gravidanza ectopica.
L’epididimite, invece, è una delle complicazione tipiche dell’uomo.
Si tratta di un’infiammazione che può essere dolorosa e che se non trattata può portare alla sterilità.
La gonorrea può causare, nei bambini cecità, infiammazioni articolari o gravi infezioni sanguigne anche letali.
Per ridurre questi rischi è bene che le donne incinte trattino il prima possibile la malattia.
Anche se raramente (1%), l’infezione può diffondersi alla circolazione sanguigna e alle articolazioni, provocando lesioni cutanee, artrite e tenosinovite. La gonorrea, inoltre, aumenta il rischio di trasmissione dell’Hiv.
Diagnosi
Poiché i sintomi della gonorrea non sono sempre presenti o chiari, per la diagnosi è necessario ricorrere agli esami di laboratorio, come l’esame microscopico dopo colorazione con Gram, la coltura (entro pochi minuti dal prelievo, altrimenti massimo 2 ore dopo se prelievo effettuato con tampone con specifico terreno di trasporto).
La diagnosi è solitamente più facile negli uomini che nelle donne.
I campioni da analizzare vengono prelevati con dei tamponi da cervice, uretra, retto o faringe, cioè le parti del corpo infettate più di frequente.
La gonorrea alla cervice o all’uretra può essere diagnosticata anche attraverso campioni di urina.
Trattamento
La gonorrea è un’infezione batterica e, pertanto, può essere efficacemente trattata con antibiotici.
Tuttavia, la massiccia diffusione di nuovi ceppi farmaco-resistenti sta rendendo le cure via via meno efficaci.
Per questa ragione, la scelta del farmaco dovrebbe basarsi sulle caratteristiche del ceppo per cui è previsto il trattamento.
Particolare attenzione va prestata nel caso si tratti di donne incinte, poiché la gravidanza rende necessaria l’esclusione di alcuni farmaci.
Spesso i pazienti con gonorrea sono affetti anche da altre malattie sessualmente trasmissibili: è pertanto consigliabile l’uso combinato di antibiotici.
Prevenzione
Tutte le persone sessualmente attive sono a rischio di infezione.
Per evitare il contagio è necessario avere rapporti sessuali protetti e usare correttamente il preservativo.
L’estrema variabilità antigenica del batterio è una delle cause che ha impedito lo sviluppo di un vaccino contro la gonorrea, ma la ricerca sta facendo notevoli passi avanti in questa direzione.
Le schede contengono informazioni riguardanti la salute, la forma fisica, l’ambito medico e vari tipi di trattamenti medici riservati esclusivamente all’uso sull’uomo.
Queste informazioni rappresentano soltanto un suggerimento e non intendono sostituire il consiglio del medico o del farmacista.
Le informazioni contenute nelle schede non devono essere usate per diagnosticare alcuna patologia o disturbo fisico ne’ per prescrivere o utilizzare eventuali farmaci.
E’ opportuno consultare preventivamente sempre un medico o un farmacista.
Le informazioni sono desunte da varie fonti presenti su internet per facilitare il visitatore.
SCHEDA " BOLO ALIMENTARE "
SCHEDA ” BOLO ALIMENTARE “
Il bolo alimentare è quella poltiglia di cibo frammisto a saliva che si forma in bocca durante la masticazione, grazie all’attività meccanica dei denti, compattante della lingua e lubrificante della saliva.
Gli enzimi salivari, dal canto loro, operano una parziale digestione del cibo, trasformando gli amidi in oligosaccaridi e destrine.
Ogni singolo boccone viene quindi reso irriconoscibile dall’attività masticatoria che, quando è particolarmente prolungata, conferisce agli alimenti ricchi di amido un sapore dolciastro, segno della parziale digestione degli stessi con liberazione di oligosaccaridi (che hanno un discreto potere edulcorante).
Il risultato finale di tutti questi processi è una poltiglia di cibo triturato, sminuzzato e parzialmente digerito, chiamata appunto bolo.
Alla luce di tutte queste importanti modificazioni, subite dagli alimenti all’interno della cavità orale, il bolo è considerato il primo prodotto della digestione.Blo Chimo Chilo
Durante la deglutizione, il bolo viene spinto verso la faringe, mentre una serie di contrazioni involontarie ne impediscono la risalita e la discesa nelle vie aeree superiori ed inferiori.
Superato lo sfintere esofageo superiore, il bolo viene incanalato in un tubicino lungo circa 24 cm chiamato esofago, che discende spinto da contrazioni peristaltiche fino a raggiungere le porte dello stomaco.
Chimo
Giunto nello stomaco, il bolo viene impastato e mescolato con acidi ed enzimi digestivi, come la pepsina e la lipasi gastrica. Dopo un periodo variabile dalle due alle cinque ore (a seconda della quantità e della natura del cibo ingerito), quello che un tempo era definito bolo è divenuto un liquido brodoso e particolarmente acido, chiamato chimo.
Al suo interno si ritrovano enzimi digestivi, una certa quantità di acido cloridrico e cibo parzialmente digerito, soprattutto nella frazione proteica (la pepsina secreta dallo stomaco rappresenta un enzima chiave nella digestione delle proteine).
L’acido cloridrico, dal canto suo, determina l’uccisione di buona parte dei microrganismi ingeriti, facilita la digestione dei protidi e quella dell’amido crudo.
Chilo
Terminata la digestione gastrica, il chimo proveniente dallo stomaco viene a poco a poco spinto nel primo tratto dell’intestino tenue, chiamato duodeno.
Tale passaggio non avviene bruscamente, ma a piccole ondate successive, in modo da non sovraccaricare i sistemi enterici di assorbimento e digestione.
Nel duodeno si riversano i prodotti di importanti ghiandole, come il pancreas (succo pancreatico), il fegato (bile) e le ghiandole intestinali (succo enterico).
Dalla mescolanza tra il chimo acido e queste secrezioni origina il chilo, un liquido lattescente, leggermente basico, ricco di nutrienti ed enzimi coinvolti nella fase finale della digestione.
L’azione enzimatica produce, in ultima analisi, nutrienti elementari di dimensioni particolarmente contenute, che gli consentono di attraversare la mucosa intestinale e riversarsi nel sangue o nella linfa (dove vengono riversati, sotto forma di chilomicroni, i lipidi e le altre componenti liposolubili).
Giunto nel tratto finale dell’intestino tenue, chiamato ileo, il chilo è ormai povero di nutrienti, che gli sono stati sottratti dai villi intestinali del duodeno e dei successivi tratti del piccolo intestino (digiuno ed ileo). Abbandonato il tenue, il viaggio del chilo prosegue verso l’intestino crasso, dove viene privato di acqua e sali minerali, aggredito dalla flora intestinale, arricchito di muco e cellule sfaldate, fino a trasformarsi in un prodotto di rifiuto chiamato feci.
Questi scarti, spinti da movimenti peristaltici, vengono accumulati nell’ampolla fecale e da qui incanalati al momento opportuno nel retto, che li espelle all’esterno attraverso l’ano.
Le schede contengono informazioni riguardanti la salute, la forma fisica, l’ambito medico e vari tipi di trattamenti medici riservati esclusivamente all’uso sull’uomo.
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SCHEDA " B. P. C. O. "
SCHEDA ” B. P. C. O. “
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (sigla: BPCO) è un’affezione cronica polmonare caratterizzata da una ostruzione bronchiale, con limitazione del flusso aereo solo parzialmente o per nulla reversibile, lentamente progressiva, causata da un’infiammazione cronica delle vie aeree e del parenchima polmonare.
È considerata la quarta causa di morte in Europa e negli Stati Uniti d’America (almeno 65 000 morti all’anno) ed è stata caratterizzata da un aumento della mortalità a livello mondiale negli anni 2000.
I sintomi principali sono dispnea, tosse e produzione di espettorato. La maggior parte delle persone affette da bronchite cronica ha BPCO.
Il fumo di tabacco è la causa più comune della condizione insieme ad altri fattori, quali l’inquinamento dell’aria e la genetica, che rivestono un ruolo minore.
Nel mondo in via di sviluppo, una delle fonti più comuni di inquinamento atmosferico sono le cucine scarsamente ventilate e i fuochi utilizzati per il riscaldamento.
L’esposizione a lungo termine a queste sostanze irritanti provoca una risposta infiammatoria nei polmoni con conseguente restringimento delle piccole vie aeree e la rottura del tessuto polmonare, una condizione conosciuta come enfisema.
La diagnosi si basa sulla scarsa circolazione dell’aria, misurata tramite test di funzionalità polmonare.
A differenza dell’asma, la riduzione del flusso d’aria non migliora in modo significativo con la somministrazione di farmaci.
In tutto il mondo, la BPCO colpisce 329 milioni di persone, quasi il 5% della popolazione mondiale.
Nel maggio 2014 è classificata come la terza causa di morte, essendo responsabile di oltre 3 milioni di decessi.
Il numero dei morti è destinato ad aumentare per gli alti tassi di fumatori e per l’invecchiamento della popolazione riscontrabile in molti paesi.
All’origine della malattia vi è un processo infiammatorio di carattere cronico che perdura per anni e che interessa le vie respiratorie del paziente.
Ciò comporta una graduale perdita della funzionalità dei polmoni con una disfunzione non completamente reversibile anche se viene trattata.
La causa principale della BPCO è il fumo di tabacco, mentre l’esposizione professionale e l’inquinamento da incendi possono essere cause significative in alcuni paesi.
In genere, queste esposizioni avvengono diversi decenni prima che i sintomi si manifestino. Il corredo genetico di una persona può altresì influire sul rischio.
Il principale fattore di rischio a livello mondiale per la BPCO è il fumo di tabacco.
Circa il 20% di coloro che fumano andrà incontro a questa condizione, mentre tra coloro che hanno fumato permanentemente circa la metá ne soffrirà.
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, tra coloro che convivono con tale condizione, tra l’80% e il 95% sono fumatori o lo sono stati.
La probabilità di sviluppare la BPCO aumenta con il numero di sigarette fumate.
Inoltre, le donne risultano essere più suscettibili agli effetti nocivi del fumo rispetto agli uomini.
Nei non fumatori, il fumo passivo è causa di circa il 20% dei casi.
Anche fumare la marijuana, il sigaro e la pipa può aumentare il rischio.
Le donne che fumano durante la gravidanza possono causare un aumento del rischio di BPCO nel loro bambino.
La diagnosi di BPCO dovrebbe essere presa in considerazione in ogni persona, di età superiore a 35-40 anni, che lamenta mancanza di respiro, tosse cronica, espettorazione, raffreddori invernali frequenti e una storia di esposizione a fattori di rischio per la malattia.
Per la conferma della diagnosi, viene utilizzato principalmente l’esame spirometrico.
Segni e sintomi tipici della BPCO
I sintomi più comuni della BPCO sono la produzione di espettorato, mancanza di respiro e tosse produttiva.
Questi sintomi si presentano per un periodo prolungato e di solito peggiorano nel tempo.
Non è chiaro se esistono diversi tipi di BPCO anche se storicamente si tendeva a suddividere in enfisema e bronchite cronica.
Tuttavia, l’enfisema è solo una descrizione dei cambiamenti polmonari piuttosto che una malattia in sé e la bronchite cronica è semplicemente un descrittore dei sintomi che possono o non possono verificarsi nella BPCO.
A un paziente affetto da BPCO può essere necessario più tempo per compiere l’espiro che per l’inspiro.
Si può percepire un senso di oppressione toracica, ma non è comune e può essere causato anche da altre patologie.
Le persone con ostruzione al flusso d’aria possono avere un respiro sibilante o i suoni inspiratori possono risultare diminuiti all’esame del torace con uno stetoscopio.
La presenza di un torace a botte è un segno caratteristico della BPCO, ma è relativamente raro.
La dispnea, cioè la sensazione di mancanza di respiro, è spesso il sintomo più fastidioso.
Viene comunemente descritto come: “una respirazione che richiede uno sforzo”, “sentirsi a corto di fiato” o “non riuscire a ottenere abbastanza aria”.
In genere la mancanza di respiro è peggiore quando si è sotto sforzo e peggiora nel tempo.[50] Negli stadi avanzati si verifica anche durante il riposo e può essere presente costantemente.
Si tratta di una fonte di ansia per il paziente e comporta una scarsa qualità della vita.
Molte persone con BPCO avanzato respirano attraverso le labbra serrate e ciò per alcuni può migliorare i sintomi della dispnea.
Altri segni
La BPCO avanzata conduce a un aumento di pressione nelle arterie polmonari.
Questa situazione viene indicata come cuore polmonare e porta a segni clinici come il gonfiore delle gambe e la sporgenza delle vene del collo.
La BPCO è più comune di qualsiasi altra malattia polmonare come causa di cuore polmonare.
La presenza di questa condizione è diventata tuttavia meno comune da quando si ricorre all’ossigenoterapia.
La BPCO si verifica spesso insieme a un certo numero di altre condizioni dovute in parte a fattori di rischio comuni.
Queste condizioni includono: cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, diabete mellito, atrofia muscolare, osteoporosi, cancro del polmone, disturbi d’ansia e depressione.
In coloro che accusano una grave malattia è comune la sensazione di affaticamento.
La presenza di dita ippocratiche non è un segno specifico per la BPCO e deve indurre a compiere delle indagini per verificare l’eventuale presenza di un tumore al polmone sottostante
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SCHEDA " BRADICARDIA "
SCHEDA ” BRADICARDIA “
La bradicardia (dal greco βραδύς, bradys=lento e καρδιά, cardiá=cuore) o brachicardia è una condizione definita come riduzione della frequenza cardiaca inferiore al valore di 60 battiti per minuto
Può manifestarsi fisiologicamente negli sportivi (a causa di un’aumentata stimolazione da parte del nervo vago), e talora negli anziani. In questi casi la frequenza cardiaca a riposo può essere inferiore ai 50 battiti al minuto.
Nel feto la frequenza cardiaca è fisiologicamente più elevata (110-160 bpm), per cui si parla di bradicardia fetale in caso di frequenza inferiore a 100 battiti al minuto.
Patologia
In altri casi è invece da considerarsi una aritmia:
alcuni casi di bradicardia sinusale,
Aritmia sinusale,
Ritmo giunzionale,
Blocco atrioventricolare di II grado,
Blocco atrioventricolare di III grado.
Patologie associate
La bradicardia può manifestarsi in caso di ipertensione endocranica.
Sintomatologia
I sintomi sono correlati al ridotto apporto ematico all’organismo e possono manifestarsi come astenia, ipotensione, lipotimia, sincope, shock.
Terapia
La bradicardia grave e di rapida insorgenza può richiedere un trattamento farmacologico d’urgenza (particolarmente con simpaticomimetici); nelle forme croniche (o nelle condizioni patologiche a rischio di bradicardia grave) può essere indicato l’impianto di un pacemaker.
Il trattamento della bradicardia dipende dal fatto che il quadro clinico sia stabile o instabile. Se la saturazione dell’ossigeno è bassa, occorre fornire ossigeno supplementare, specie nei bambini.
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SCHEDA " BRONCHIOLO "
SCHEDA ” BRONCHIOLO “
In particolare vengono chiamati bronchioli tutte le ramificazioni bronchiali del bronco lobulare all’interno del lobulo polmonare.
I bronchioli nascono dalle ramificazioni intralobulari dei bronchi lobulari che a loro volta costituiscono ramificazioni dei bronchi di second’ordine deputati alla ventilazione delle zone polmonari.
Sono i bronchi di prim’ordine di numero uguale ai lobi in cui vanno poi ad impegnarsi che terminano nei bronchi zonali.
Ogni bronco lobulare si ramifica all’interno del lobulo formano da 3 a 5 bronchioli terminali (detti anche bronchioli minimi) che vanno a costituire l’acino polmonare.
Ciascun bronchiolo terminale, poi, termina dividendosi in due bronchioli respiratori (detti anche bronchioli alveolari) che a loro volta si dividono in condotti alveolari (che possono essere da 2 a 10).
Entrambe queste strutture sono caratterizzate dall’avere lungo le pareti delle estroflessioni sferiche, gli alveoli polmonari, che si fanno sempre più numerosi procedendo distalmente; i condotti alveolari, particolarmente, hanno la parete formata esclusivamente dalla successione di alveoli.
L’ultima parte delle vie respiratorie è infine costituita dalle ramificazioni dei condotti alveolari che terminano in condotti dilatati a fondo cieco e la parete occupata da alveoli detti infundiboli o sacchi alveolari.
La struttura dei bronchioli varia man mano che ci si addentra nel polmone.
Per quel che riguarda la struttura della mucosa e della sottomucosa, questa non cambia molto rispetto ai bronchi più esterni, ma la tonaca di sostegno diventa, invece, sensibilmente diversa.
In particolare, gli anelli cartilaginei vanno a ridursi a piccolissimi noduli isolati (detti placche cartilaginee bronchiali).
Proseguendo verso i bronchi di diametro minore, le placche spariscono e la parete diventa esclusivamente di tipo fibro-muscolare.
Quando ci si addentra ancora di più, nei lobuli, anche questa componente viene meno, sostituita da una mucosa e anche la componente ghiandolare scompare.
La mucosa risulta formata da un epitelio e da una tonaca fibromuscolare che, una volta persa la componente cartilaginea, rimane costituita da fibre elastiche, collagene e da fascetti muscolari che circondano il punto di attacco dell’alveolo alla parete.
Nei condotti alveolari la componente muscolare rimane solo nei colletti degli alveoli insieme a qualche fibra elastica.
L’epitelio, in particolare, è quello che subisce più variazioni:
– nei bronchi lobulari e i bronchioli terminali è cilindrico semplice cigliato, presenta cellule caliciforme mucipare e le cellule di Clara, elementi cubici che producono un secreto che rende fluido il muco presente;
– nei bronchioli respiratori è inizialmente cilindrico cigliato, ma si poi si fa cubico e senza ciglia; in ogni caso non sono più presenti cellule mucipare
– i condotti alveolari, che hanno la parete ricoperta di alveoli, presentano nei condotti alveolari un epitelio cubico privo di ciglia che continua con l’epitelio alveolare.
I bronchioli si formano dall’allungamento, sdoppiamento e allargamento dei bronchi in via di sviluppo all’interno del mesenchima splancnico. Lo sviluppo dei bronchioli e, conseguentemente degli alveoli, è fondamentale per l’inizio della produzione del surfactante che, mantenendo dilatati gli alvevoli, permette la respirazione anche a bambini non nati a termine
Le schede contengono informazioni riguardanti la salute, la forma fisica, l’ambito medico e vari tipi di trattamenti medici riservati esclusivamente all’uso sull’uomo.
Queste informazioni rappresentano soltanto un suggerimento e non intendono sostituire il consiglio del medico o del farmacista.
Le informazioni contenute nelle schede non devono essere usate per diagnosticare alcuna patologia o disturbo fisico ne’ per prescrivere o utilizzare eventuali farmaci.
E’ opportuno consultare preventivamente sempre un medico o un farmacista.
Le informazioni sono desunte da varie fonti presenti su internet per facilitare il visitatore.
SCHEDA " B R O N C O "
SCHEDA ” B R O N C O “
Il bronco è ciascuna delle due ramificazioni terminali della trachea. A livello della 4ª-5ª vertebra toracica la trachea termina dividendosi nel bronco sinistro e nel bronco destro.
I due bronchi, di uguale struttura, si dirigono verso l’ilo polmonare dove si dividono ulteriormente per formare un’arborizzazione all’interno dei polmoni: l’albero bronchiale.
I due bronchi principali e parte della prima ramificazione sono chiamati bronchi extrapolmonari, mentre la parte dell’albero dentro i polmoni bronchi intrapolmonari.
In completa continuità con la trachea, permettono all’aria inspirata di arrivare ad entrambi i polmoni dopo essere passata per la faringe, la laringe e la trachea stessa.
bronchi vanno incontro a suddivisioni successive intimamente collegate con l’organizzazione interna dei polmoni.
Ogni bronco, poco prima di impegnarsi nei polmoni, si divide in bronchi di prim’ordine o bronchi lobari: il polmone destro presenta tre lobi, mentre il sinistro due quindi anche i bronchi corrispondenti si suddivideranno rispettivamente in tre e due bronchi lobari.
Da questi si formano i bronchi di second’ordine (o bronchi zonali o bronchi segmentali) destinati alle zone polmonari. Le zone sono suddivise in lobuli che ricevono un’ulteriore ramificazione bronchiale, i bronchi lobulari che si suddividono poi in bronchioli intralobulari ed, infine, in bronchioli terminali.
La diramazione è, quindi, la seguente:
bronchi principali
bronchi di prim’ordine o bronchi lobari
bronchi di second’ordine o bronchi zonali o bronchi segmentali
bronchi lobulari
bronchioli intralobulari
bronchioli terminali
L’albero bronchiale inizia quando iniziano i bronchi e termina nel parenchima polmonare come bronchioli terminali.
Tutta la regione dell’albero che precede i bronchioli lobulari viene chiamata parte intrapolmonare dell’albero bronchiale, mentre le ramificazioni bronchiali all’interno del lobulo prendono il nome di parenchima polmonare.
Da ciascuno dei bronchi principali e per tutta la parte intrapolmonare dell’albero bronchiale si staccano ad angolo acuto alcuni rami collaterali che non fanno perdere al bronco la sua individualità, ma solo diminuire di calibro secondo la modalità di ramificazione detta monopodica.
A livello dei bronchioli terminali, invece, la ramificazione diventa dicotomica in quanto ogni ramo si sdoppia in due rami di uguale calibro formanti fra loro un angolo ottuso o una divisione a T.
L’albero bronchiale è di fondamentale importanza per stabilire il decorso di vasi e nervi entranti e uscenti dal polmone: tutte le strutture vascolari e nervose, infatti, sono satelliti dei bronchi.
Albero bronchiale e le strutture annesse formano un tutt’uno grazie al connettivo elastico che li avvolge
La funzione dei bronchi è quella di permettere il passaggio dell’aria dalla trachea ad entrambi i polmoni.
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SCHEDA "BY-PASS (CORONARICO) "
SCHEDA “BY-PASS (CORONARICO) “
I primi interventi di questo tipo vennero effettuati nel 1969 e da allora la tecnica è molto progredita. Il bypass permette di superare un condotto vascolare ostruito parzialmente o totalmente.
Il cardiochirurgo effettua un’incisione longitudinale sul torace, attraverso lo sterno, detta sternotomia mediana. Attraverso questa incisione il chirurgo accede al cuore ed all’aorta.
A valle del restringimento sutura un tratto di vena safena grande o piccola prelevata dal paziente, o più recentemente di arteria mammaria. Successivamente collega l’altra estremità a monte del restringimento o dell’occlusione e più precisamente su un’incisione effettuata sulla parete aortica.
In questo modo il sangue avrà un passaggio per aggirare l’ostacolo.
Il bypass aorto-coronarico può essere effettuato attraverso quattro metodologie:
– Intervento tradizionale
– Il paziente tramite alcune cannule viene collegato ad una macchina cuore-polmone, dopodiché il cuore viene fermato attraverso una soluzione cardioplegica, per poi essere fatto ripartire a intervento in fase di ultimazione.
Intervento a cuore pulsante
– Il cuore del paziente continua a battere durante l’operazione. Questo metodo comporta rischi minori per alcune tipologie di pazienti.
– MIDCABS
– (Minimally Invasive Direct Coronary Artery Bypass Surgery, bypass coronarico mediante procedura chirurgica mini-invasiva).
Questa metodica prevede l’accesso al cuore tramite una incisione di 8-10 centimetri praticata al 4° o al 5° spazio intercostale dell’emitorace anteriore sinistro.
Per il bypass viene utilizzata l’arteria mammaria interna di sinistra che risulta essere il vaso più importante per la rivascolarizzazione del miocardio infartuato.
La peculiarità della MIDCABS, oltre che nella minimizzazione dell’accesso toracico (non è necessaria la sternotomia con conseguente riduzione del dolore nel postoperatorio), sta nella possibilità di intervenire anche a cuore battente.
– Anestesia epidurale
– In tempi recentissimi sono stati praticati interventi di questo tipo con pazienti in anestesia epidurale, il che ha aperto nuove prospettive in quanto, soprattutto nei pazienti anziani, si evitano i rischi di un’anestesia generale.
Per il bypass vengono utilizzate:
– La safena
– Un tratto di vena safena viene prelevato dalla gamba del paziente ed utilizzato per effettuare i bypass. Questo tipo di intervento (praticato soprattutto in passato) ha una durata limitata. Dopo circa dieci anni il 60-65% dei bypass è ostruito a causa della differenza di dimensioni fra la vena e l’arteria.
– Arteria toracica interna
– L’arteria toracica interna (o mammaria) ha oggi un utilizzo più elevato nei bypass. Questo metodo ha una durata maggiore (dopo dieci anni il 95% dei bypass è in ottime condizioni). Inoltre è meno invasivo in quanto l’arteria mammaria non viene spostata di sede.
– Arteria radiale
– Se la perfusione dell’avambraccio è garantita dalle altre arterie e altri vasi non sono utilizzabili per l’intervento, talvolta si utilizza questa arteria.
– Tecniche recenti
– Per aumentare l’efficacia dall’intervento si stanno sperimentando e utilizzando metodi recentissimi come i graft arteriosi, la Y arteriosa e l’uso dell’arteria gastroepiploica destra.
Benefici
I benefici sono la diminuzione drastica dell’infarto del miocardio, un recupero di forze e l’eliminazione del dolore dovuto all’ostruzione.
– Lo studio ASCERT (Survival after PCI or CABG in older patients with stable Multivessel Coronary Disease: Comparative Effectiveness of Revascularization Strategies), i cui risultati sono stati presentati all’Americam College of Cardiology il 27 marzo 2012, ha evidenziato la superiorità della rivascolarizzazione chirurgica rispetto all’angioplastica coronarica nei pazienti affetti da malattia coronarica multivasale (≥3 vasi).
– Lo studio ASCERT è uno degli studi osservazionali, che ha coinvolto un numero particolarmente elevato di casi, 600.000, con una analisi finale composta da 103.549 pazienti trattati con angioplastica e 86.244 trattati con bypass aorto-coronarico.
I risultati sono stati assolutamente a favore della rivascolarizzazione chirurgica (follow up a 4 anni), infatti già dal primo anno di controllo le curve di sopravvivenza sono diventate sempre più divergenti a favore dell’approccio chirurgico.
Rischi
I rischi sono: sanguinamento postoperatorio, infezioni, ictus, infarto miocardico perioperatorio, insufficienza renale, insufficienza respiratoria, morte. La mortalità dell’intervento si aggira intorno all’1%.
In Italia è stato condotto uno studio degli esiti a breve termine di interventi di bypass aorto-coronarico nelle cardiochirurgie partecipanti tra il 1º gennaio 2002 e il 30 settembre 2004.
Il Progetto BPAC era su base volontaria.
In USA questo genere di studi vengono fatti a vantaggio dei malati e dei loro familiari che possono così valutare con trasparenza a chi rivolgersi per le cure.
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