GALLERIA STORICA
“La Direttissima Bologna – Firenze – 2014 -1934”
(80° anniversario).
Un’altra interessante opera dello storico Romano Colombazzi che ripercorre la storia della costruzione della ferrovia attuale che collega Bologna a Firenze.
Di forte impatto le numerose immagini dell’epoca che testimoniano l’impresa condotta a termine.
Commenti descrittivi accompagnano le immagini.
Sono trascorsi 80 anni dall’inaugurazione della linea ferroviaria “Direttissima” Bologna-Firenze avvenuta il 22 Aprile 1934.
La ferrovia Bologna-Firenze ha una storia particolare e di lunga durata.
Nel 1864 venne aperta la “Porrettana” che collegava Bologna a Pistoia e risultò una vera perla architettonica, ancora oggi ammirata per le sue ineguagliate bellezze.
La linea non era così funzionale e pratica ad un collegamento veloce fra nord e sud: molte curve, forti pendenze, lunghi tempi di percorrenza.
Così una delle prime esigenze del nuovo Regno tornò ad essere un collegamento veloce tra Bologna e Firenze.
Il 25 marzo 1882 il bolognese Antonio Zanoni pubblicava una memoria dal titolo ”Bologna nei suoi rapporti coll’Alta Italia e Roma”, riaccendendo le polemiche sulla mancanza di un attraversamento dell’Appennino più facile di quello della Porrettana e con lo sbocco diretto a Firenze.
Finalmente si muoveva anche il Governo Italiano istituendo, l’8 Novembre 1902, una Commissione presieduta dall’Ing. Giuseppe Colombo, al fine di scegliere il tracciato migliore tra i 6 proposti.
Mentre da una parte si dà inizio ai lavori per la costruzione della Faentina e della Pontremolese, per la “Direttissima” si moltiplicano i progetti, ben 6 e cioè il tracciato Zanoni, Protche, Sugliano, De Gaetani, Naldoni, Mercanti.
Dopo 6 anni il Governo fa propria la proposta della Commissione Colombo che prediligeva il tracciato Sugliano, ingegnere della Direzione Costruzioni Ferroviarie, il quale non studiò un progetto nuovo ma si servì dei progetti Zanoni-Protche, molto simili, eliminando i più vistosi difetti quali l’eccesiva pendenza dello Zanoni (15 ‰) e il percorso in terreni franosi del Protche.
La proposta è convertita nella legge n.444 del 12 luglio 1908 per la costruzione di una linea Direttissima Bologna-Firenze con una spesa di
L. 150.000.000.
Lungo tempo si impiegò nei lavori di rilievo e di redazione del progetto esecutivo.
Il progetto esecutivo fu sottoposto al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nell’autunno del 1911 e il Governo affidò l’incarico della costruzione della linea solo nel Marzo del 1913 con un Decreto che autorizzava la Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato a provvedere alla costruzione diretta in economia del tronco Bologna-Pianoro.
(Regio Decreto n.801).
Si metteva subito mano al primo tratto Bologna-Pianoro e venivano installate le infrastrutture, binari di servizio e teleferica, atte alla realizzazione della galleria di Monte Adone
Gli anni cruciali fra il 1919 e il 1922 furono vissuti in maniera turbolenta; il drammatico bisogno di occupazione spinse le popolazioni delle valli del Savena, Setta e Bisenzio, a forzare il governo per la ripresa dei lavori della linea che impegnava centinaia di lavoratori.
Le lotte operaie dovettero inchinarsi alla violenza del fascismo nascente ed i lavori ripresero nel 1920.
Il 21 Aprile 1934 Mussolini accompagnato dal Re Vittorio Emanuele III° inaugurò la linea Direttissima che tuttora presenta uno degli indici di traffico più alto della nostra rete nazionale.
Il fascismo si fece vanto della linea, ma la vera paternità è dei governi precedenti al ventennio fascista e delle decine di lavoratori che in mezzo ad immani fatiche e sofferenze portarono a termine un’opera prestigiosa per quei tempi.
CIFRE SIGNIFICATIVE
Dai dati che elencherò si rileva l’importanza dei lavori eseguiti e lo sforzo fatto dai tecnici e dalle maestranze italiane affinché l’opera riuscisse degna della genialità con la quale fu concepita e progettata.
Lunghezza della linea a doppio binario: Km. 96,908 di cui Km. 36,895 in galleria;
n.31 gallerie di cui la Galleria dell’Appennino lunga m. 18.507,38,
la galleria di Monte Adone lunga m. 7.535,35,
la Galleria di Pian di Setta m.3.052,02;
n. 38 ponti e viadotti;
n. 8 nuove stazioni intermedie tra Bologna e Prato, di cui una completamente interrata a Precedenze,
E cioè: San Ruffillo, Pianoro, Monzuno-Vado, Grizzana,
S. Benedetto Sambro-Castiglione Pepoli, Precedenze,
Vernio-Montepiano-Cantagallo e Vaiano.
6.450.00 mc. di terreno in rilevato;
5.000.000 mc. di terreno scavato;
800.000 mc. di muratura;
8 piazzali di stazione per una superficie complessiva di 417.000 mq.;
36.000 tonnellate di ferro;
1000 tonnellate di conduttori di rame;
330 tonnellate di conduttori in acciaio e alluminio per le linee elettriche;
10 fabbricati alloggi; 46 case cantoniere doppie;
500.000 mc. di pietrisco;
240.500 ml di binario;
430 deviatoi;
n. 5 nuove linee elettriche da 60 KVolts e 1 da 130 KVolts per un totale di Km. 189,500;
n.5 sottostazioni di trasformazione dell’energia elettrica e cioè Grizzana, Vaiano, Rifredi, Bologna e Vaioni.
Sono state impiegate 16.936.000 giornate operaio, delle quali 5.628.000 per la costruzione della Grande Galleria dell’Appennino. L’onere sostenuto dallo Stato Italiano ammonta a L. 1.122.000.000 nel 1934 pari a 13,8 milioni per chilometro della nuova ferrovia.
Così si esprimeva Mussolini nel giorno dell’inaugurazione:
“L’opera gigantesca, degna del genio italico e del risveglio meraviglioso di energie manifestatosi nel nostro paese per opera del fascismo, è ormai compiuta.
Essa dimostra al mondo quanto valga, nel compiere le più ardue imprese, lo spirito di sacrificio e di abnegazione delle masse e soprattutto la concorde collaborazione fra dirigenti e maestranze, mediante la quale soltanto è possibile raggiungere i più nobili intenti.
Invero la Direttissima, per la falange dei suoi 98 caduti sul lavoro, per la colossale mole delle sue opere e per l’ingente onere richiesto allo Stato per la sua costruzione, costituisce un monumento imperituro che sta a testimoniare l’attività febbrile di questo radioso periodo storico…”
I Caduti della Direttissima
Mi riferisco ai lavoratori morti durante la costruzione della Direttissima Bologna-Firenze ed in particolare della Grande galleria dell’Appennino.
La galleria dell’Appennino era la seconda del mondo come lunghezza, solo 1300 metri meno del Sempione, e resta tutt’oggi tra le prime 20 al mondo, superata solo alla fine del XX secolo dai “mostri” di 50 chilometri e oltre.
La costruzione della Direttissima ha costituito un punto di svolta per le zone di montagna coinvolte; per decenni uomini e donne hanno lavorato a questo progetto; è stato però pagato un caro prezzo da coloro che sono caduti sul lavoro e da coloro che hanno portato per tutta la vita i segni di quell’esperienza: invalidità e malattie devastanti.
Sono ricordati da due lapidi affisse all’ingresso della stazione di Prato Centrale.
La Grande galleria dell’Appennino è un tunnel ferroviario della Direttissima Bologna-Firenze situato tra due stazioni: quella di Vernio-Montepiano-Cantagallo e quella di San Benedetto Val di Sambro.
È lungo 18.507,38 m, con quota di valico a 328 m e pendenza massima del 12 per mille.
I lavori di scavo iniziarono nel 1920, ma l’impulso maggiore si ebbe nel 1923 con l’apertura di tre grandi cantieri.
Il tunnel fu terminato il 4 dicembre 1929 a seguito della caduta dell’ultimo diaframma di roccia tra Ca’ di Landino e di Lagaro.
La costruzione della galleria impegnò molti lavoratori, provenienti da tutt’Italia e in particolar modo dai paesi tosco-emiliani, dove notevole era la mancanza di lavoro.
Le condizioni di vita degli operai erano assai difficili: la fatica fisica era una costante, le braccia erano l’unico strumento, non esistevano mezzi di trasporto che portassero al luogo di lavoro; tuttavia il lavoro, pur risultando faticoso, pericoloso e poco tutelato, veniva accettato per necessità.
I ritmi di lavoro variavano in funzione della ubicazione del lavoratore: dentro o fuori dalla galleria.
Il lavoro all’esterno della galleria godeva di una peggior retribuzione rispetto a quello svolto all’interno della galleria: si lavorava in giornata ed era prevista la sosta di un’ora per mangiare; solo qualche cantiere, inoltre, disponeva di una cucina per gli operai.
All’interno della galleria si svolgevano tre turni continui di otto ore: dalle sei del mattino alle due del pomeriggio, dalle due alle dieci di sera, e dalle dieci alle sei.
Si lavorava la domenica e non c’erano soste per mangiare.
Gli operai consumavano qualcosa in fretta, talvolta di nascosto, fra un lavoro e l’altro; in genere pane o polenta, talvolta anche un uovo o un po’ di formaggio.
I giorni di festa erano pochi: Natale, Pasqua e Santa Barbara (patrona dei minatori), più un riposo ogni quindici giorni, infatti il lavoro era organizzato a squadre, e dentro la galleria i ritmi erano molto duri.
Alle prime squadre, dette di avanzamento, erano affidate le fasi più pericolose:
a) scavare i buchi per le mine con la rivoltella;
b)piazzare le mine e farle brillare;
c) caricare il materiale sui vagoni per trasferirlo all’esterno.
Erano lavori pericolosissimi e svolti in fretta, sotto la pressione degli assistenti che tendevano a raggiungere i massimi risultati.
La temperatura raggiungeva i 60°, per cui gli operai, per riuscire a respirare, dovevano alternarsi ogni cinque minuti.
Dietro le squadre di avanzamento venivano quelle degli armatori e dei muratori, assistiti dai manovali, dai calcinari e dai bocia (voce dialettale utilizzata per indicare i ragazzi adolescenti assunti per aiutare il lavoro degli operai: ad esempio, portavano l’acqua, gli arnesi, la calcina.)
Altri lavoratori erano il fochino, addetto a dar fuoco alle micce, il fochista addetto a bruciare il gas formatosi in galleria, il frenatore addetto ad agganciare i vagoni carichi di materiale.
Il controllo diretto dei lavori era affidato ai capisquadra.
C’erano due squadre di avanzamento che procedevano quasi contemporaneamente: una sotto, più arretrata, e l’altra sopra.
Queste dure condizioni di lavoro provocavano frequenti incidenti, le cui cause principali erano crolli ed esplosioni di gas o di mine.
In caso di infortuni gli operai ricorrevano all’infermeria del cantiere o all’ospedaletto allestito a Lagaro e, nei casi più gravi, venivano trasportati all’ospedale “Mussolini” di Bologna.
Le condizioni dei lavoratori erano poco tutelate: il lavoro era durissimo ed era facile venire licenziati, mancava un sindacato che li difendesse: era soltanto la struttura a cui gli operai si rivolgevano per ottenere il nulla-osta, cioè il permesso di andare a lavorare.
Non c’era spazio per una contrattazione sindacale, non era permesso far sciopero.
Aspetto positivo era che gli operai disponevano di un’assicurazione sul lavoro; in caso di malattia avevano una tutela minima e in caso di grave infortunio avevano un riconoscimento della loro invalidità, a titolo di liquidazione, non da una pensione permanente.
L’assicurazione non prevedeva nessuna tutela contro la silicosi, terribile malattia causata dalle inalazioni di polveri che ha ucciso la maggior parte dei lavoratori della Direttissima.
Durante la realizzazione della galleria si sono verificati crolli ed esplosioni per i gas o le mine: sono caduti sul lavoro in tutto 99 persone.
Alcune morirono a causa dello sganciamento di carrelli utilizzati per la costruzione della galleria; questi ultimi, data la loro pericolosità, furono successivamente eliminati dalle autorità.
Altri incidenti erano causati dalla fuoriuscita del gas che, a contatto con una fiamma, causavano violente esplosioni; la più abbondante fuoriuscita di gas si verificò il 3 agosto 1928 in un cunicolo che causò l’incendio del cantiere e la sospensione degli scavi per quasi sei mesi.
Anche le violente infiltrazioni d’acqua provocarono danni micidiali, per questo motivo vennero costruite delle saracinesche che sbarravano i cunicoli, impedendo l’avanzata dell’acqua.
La più tragica fuoriuscita d’acqua si verificò in 4 novembre 1927 all’estremità dell’avanzata inferiore, obbligando la sospensione del lavoro.
Infatti i cantieri, ed in particolare la galleria centrale, furono funestati da molti incidenti mortali e lasciarono in eredità un lungo strascico di malati di silicosi; nonostante tutto costituirono anche un momento di riscatto per gli abitanti delle montagne, spesso costretti all’emigrazione.
Le Testimonianze
Il lavoro di allora in galleria di Luigi Giovannini.
Dalle sei alle sei e mezzo
Minatori vanno a lavorar
Appena giunti sull’esercizio
Quattro colpi si sente sparar
Eravamo in ventinove
Solo sette siam ritornà
E quegli altri ventide
Sotto i colpi lor son restà
Maledetta la galleria
L’ingegner che la disegnò
Una galleria così lunga
Quanti morti ci costò.
La canzone di Augusto Armenti che racconta un tragico incidente avvenuto il 14 Ottobre 1923 sempre in galleria.
Quando fummo noi tutti al posto
come al solito si stava facendo
ad un tratto uno scoppio tremendo
la montagna la fece tremar.
Imbalorditi e al buio si resta
stupefatti dal grande spavento
e le grida dell’avanzamento
anche ai sassi facevan pietà.
Quelli di dietro che avevan sentito
non sapevan che strada pigliar
poi si sono fatti di un cuore assoluto
e i compagni sono corsi ad aiutar.
Quell’aiuto era tanto prezioso
per quella gente così disperata
che chiamavan mamma con voce angosciata
mentre il fuoco continuava a bruciar.
Appena giunti al pronto soccorso
c’eran già tutti gli amici e i parenti
fra urla, pianti e lamenti
sempre mamma sentivo chiamar
portami acqua, portami acqua, mi sento bruciar.
Dal Diario di Silvio Mucini, Sindaco di Pianoro dal 1951 al 1970:
“Nel lontano 1919, non ancora quattordicenne, fui assunto dalla Amministrazione delle Ferrovie dello Stato nella costruzione della ferrovia Direttissima Bologna-Firenze.
Ero da pochi giorni iscritto al Partito Socialista.
Vi era un grande entusiasmo, quasi euforia, si sentiva parlare di fascisti ma nessuno riteneva il fascismo un pericolo. Io ero timidissimo e facevo il bocia, cioè portavo l’acqua alle varie squadre di lavoratori.
Ascoltavo le discussioni tra i compagni senza proferire parola, facevo solo delle valutazioni.”
Dal Diario di Silvio Mucini, Sindaco di Pianoro dal 1951 al 1970:
Leggevo molti giornali e molti libri; era il mio unico divertimento; avevo studiato pochissimo; il mio titolo di studio era la 3^ elementare.
Ricordo un episodio assai tragico nel cantiere ove ero occupato.
Un giovane di 19 anni rimase ucciso sotto una frana di terriccio all’interno della galleria.
Il fatto mi turbò molto ed il Caposquadra, un uomo alto, magro e con una folta barba, cercò di incoraggiarmi dicendo che la vita era tutta una tragedia e che per renderla migliore bisognava sempre lottare senza tregua contro molti nemici, tra cui la natura e i padroni, per rendere la vita migliore.
Il giovane morto era un suo compaesano e bisognava scioperare contro le mancate sicurezze sul lavoro e gli infortuni.
Lo diceva ma non lo faceva per non perdere il posto di lavoro.”
Con l’apertura nel 2009 della tratta ad alta velocità realizzata quasi totalmente in galleria, affiancando il percorso della Direttissima ed abbassando ulteriormente i tempi di percorrenza fino a 37 minuti, la linea ha perso il primato di ferrovia principale nei collegamenti tra Bologna e Firenze, pur rimanendo un percorso importante di collegamento tra Bologna e Prato.
La linea svolge inoltre un servizio importante per i comuni delle vallate del Setta e del Savena nell’ambito del progetto di Servizio Ferroviario Metropolitano di Bologna.
A tale scopo sono state attivate le ulteriori fermate di Musiano, Rastignano e il 9 giugno 2013 la fermata di Bologna Mazzini.
Il 6 Aprile scorso le Amministrazioni dei Comuni dell’Appennino hanno festeggiato gli 80 anni della Direttissima con un treno storico, uguale a quelli che, nella prima metà del secolo scorso, facevano la spola tra Bologna e Prato, treno che è partito dalla stazione di Bologna Centrale e si è fermato nelle stazioni di Pianoro, Monzuno, Grizzana Morandi, San Benedetto Val di Sambro, Vernio-Montepiano-Cantagallo, Vaiano e Prato.
In ogni stazione una folla plaudente ha ricordato a noi ed ai presenti con concerti, spettacoli e momenti evocativi l’importanza di questa grande opera che è tutt’ora una delle principali vie di comunicazione dell’Italia.