Presentazione storica di Z E N A desunta dall’opera storica del S. Calindri.
Riporto fedelmente il testo del 1782 con le forme grammaticali di quel tempo, ove la lettera “s” attuale veniva scritta con la lettera “f”, questo per aiutare il lettore nella corretta forma di lettura.
Auspicando che sia ben accetta l’intenzione, auguro buona lettura al visitatore.

Z E N A e MONTE DELLE FORMICHE

(a) – Fuori di Porta S. Stefano 14. miglia lontano da Bologna
Comune e Pieve
Come Comune abbraccia parte dell’ Arcipretura di “Gorgognàno”.
Anime 397 formano la fua popolazione, divifa in 79 famiglie, abitanti in quattro borghetti, in un antico Caftello, ed in circa 35 cafe sparfe alla campagna.
S. Maria è il fuo titolare, e la nomina, o diritto di collazione, fpetta alla famiglia “ODOFREDI GANDOLFI”.
Sono i confinanti a quefta Pieve l’ Arcipretura titolare di Gorgognàano, l’ Abbadia di Barbaròlo, e le parrocchie di Caftel di Bisàno, di Caffano, di Monte Renzio, di Pizzano, e di Monte Armato.

Confervafi nella Canonica dal Zelante Arciprete Don Francefco Nanni una immagine in fcoltura di un devoto Crocififfo, che per tradizione fi ha foffe di un buono Eremita, che ne’ Secoli fcorfi facea penitenza, in una delle due grotte fcavate nella rupe fopra di cui ergefi la Chiesa, la Canonica, e fuoi abbeffi;
(327 – Una di quefte Grotte effendo una dall’ altra molto diftanti, che tuttavia è acceffibile, abbenchè con qualche pericolo, l’abbiamo vifitata e mifurata, è lunga piedi 6 e 4 circa larga, è fatta tutta a mano d’ Uomini con lo Scalpello.
Alla finiftra fonovi alcune buche fatte per foftenere un tavolato in aria, che doveva effere il morbido letto del buon eremita.
Nell’ ingreffo vi fono 4 buche che vedefi aver fervito per porre due ftanche con le quali fermare un’ altro tavolato, che doveva effere la porta.
In fondo di quefta grotta contro il fuo ingreffo, vi è un fedile, e per di dietro una frettiffima apertura o fenditura naturale, per la quale fpira un aria frefca, e dalla quale efcono quantità di farfalle tra l’ Agofto ed il Settembre. le cui ali in quantità fi vedono ammaffate ful ripiano dello fcarpellato fedile.
Nelle parti dentro e fuori di quefta Grotta fono incifi vari nomi, il più antico nel di dentro è del 1600, che dice ” Barberius iam ex Religione Iefuat. 1551.
Se quefto foffe il buon fervo di Dio, di cui fi vuole foffe il devoto e miracolofo Crocififfo, noi non c’ impegnammo a dimoftrarlo)

il tutto fituato nella vetta di una delle più alte balze del banco marino altre volte nominato, che forma una delle catene de’ Monti bolognefi, che è compofto di arena indurita a confiftenza di macigno, o di tufo, o fciolta, tagliata a ftrati di ghiaia (talora indurita a confiftenza di fcoglio) di beletta, di creta, di marna, di torba, e poggiante fopra bafe di argilla, e di creta, e ripieniffimo di gufci di teftacei d’ ogni maniera, di lavori o fpoglie di Millepore e di Madrepore, da quali fono altrefì coperti, e per così dire, fortemente intonacati varj de’ faffi fluviali, che formano i già detti banchi di ghiaia.

Tre in quattro adulti l’ anno muoiono frà quefto Popolo, che nell’ alpeftre del fuolo che abita gode di un’aria falubre, e perfetta.

Evvi nel parrocchiale diftretto un Oratorio dedicato a S. Criftina, già parrocchia, ed immediatamente anneffo alla giurifdizione dell’ Arciprete, e fi dice “S. Criftina del Caftello di Zena”, effendo fituato nel luogo dove tutt’ ora rimangono le rovine di quell’ antico Caftello in rifa quafi del piccol Fiume, o Torrente, detto “Zena”, molto diverfo, e molte miglia lontano dall’altro dello fteffo nome, che dovremo ricordare nella Pianura fuori di Porta S. Felice oltre a 15 miglia dalla Città lontano.

Poca Uva, pochiffime Frutta, molte Caftagne, molta Legna di Bofco da fuoco, molta Ghianda, pochiffima Seta, molto Carbone, poco Fieno, molto Pafcolo da efefe terre a fodo, appena il fegno delle Canape, due in tre mifure per femente dal Grano, e due circa da Marzatelli, è tutto quello, che dalle piante e dal fuolo, già defcritto, ritrae il poffidente ed il contadino.

Il colore dell’ arena ed arenone ed arenone indurito a confiftenza di Tufo è di colore leonato, o giallo ofcuro, e tra faffi de’ banchi di ghiaia fluviatile che l’ attraverfano fonovene di quelli, le di cui matrici non abbiam potuto vedere (allo fcoperto almeno) ne’ vicini e ne circondanti monti.
La groffezza de’ banchi di ghiaia è varia, e tra quefti ve ne fono di due pertiche bolognefi e più; quella de’ banchi, o ftrati, di arena ed arenone marino è ancor maggiore, trovandofene di quelli che oltrepaffano le 20 pertiche della fteffa mifura.
Una parte di quefto gran banco s’ inalza a guifa di alto monte tagliato da una parte da rupi altiffime quafi a piombo elevate fopra i fottopofti colli, e quella dove è fituata la Pieve e fuoi anneffi, è la più alta di ogn’ altra che fia nelle fue vicinanze per oltre tre miglia di diftanza in linea retta d’ ogni intorno.

S’ innalza quefta vetta 150 pertiche fopra il fondo del Fiume “Idice” che le fcorre a deftra, e circa 135 pertiche fopra quello della “Zena”, che le fcorre a finiftra per chi voltafi verfo Bologna; il maffo più groffo di quefta parte poggia le fue eftremità full’ Idice al faffo detto “de’ Sabbatini”, e di mano in mano che abbaffa vi fi trova framezzo una profigiofa quantità di gufci di Telline, e di Pettinìti o i loro nuclei; e nelle Crete ed Argille che il rimanente territorio compongono, vi fi trovano piccole fcaglie di Geffo fpecolare color d’ ambra, e quantità di piccoli Dentali, di Terebratule, di Lumache marine, e luogo a luogo di bianchi Operculiti.

La direzione, o pendenza, de’ ftrati di quefto grande banco è da Oftro-Scirocco in Maeftro-Ponente, ed inclinano dall’alta cima, e andando verfo il profondo, dalla parte di Tramontana.

Sonovi tra quefto popolo un Fabbro, due Muratori, ed un Molinaro.
Evvi un tale “Francefco Monti” beneftante e poffidente, che per forza di naturale ingegno lavora ed accomoda Orologi di tafca e da torretta ancorchè fiano a ripetizione; fi è quefto da per fe lavorata una efatta e pulita piatta forma; che fenza fcaricarne ne i colonnotti ne il vafto tetto rimife in piedi e refe ftabile una grandiofa “Tezza”, o Fenile, co’ fuoi anneffi, che una lavìna aveva fatta pendere ecceffivamente, coficchè decretata fe ne era la demolizione, e la riedificazione, rifparmiando al proprietario l’una e l’ altra fpefa con pochi “Scudi” , e la di cui abilità fi eftende ” a levare a Camini da fuoco il Fumo”, avendo fatto quefto benefizio ancora a più di uno di que’ camini, i quali fabbricati all’ antica fervir potrebbero per intere Comunità di Fraterìe, o di Monache, non che di Cafe Coloniche, o Padronali da Campagna.
Noi volontieri abbiam rammentato quefto talento nato per far del bene all’ Umanità, ma non ricorderemmo volontieri, come fia ftato ricompenfato de’ benefizi, che ha fatto cò fuo naturale talento, giacchè non farebbero molto onore alla maggiore parte di quelli, che ne hanno goduto.

Il luogo che noi defcriviamo comunenemente non Zena fi chiama, come per feguitare i pubblici libri e regiftri, l’abbiam chiamato ancor noi, mà bensì “Monte delle Formiche”, perchè ciò, noi paffiamo a defcriverlo per diletto de’ Naturalifti.

A ftuoli di più migliaia compofti incamminanfi alla volta del “Monte” che abbiam defcritto le “alate formiche” ogni anno, ma non tutti gl’ anni giungono allo fteffo, rade volte ne formontan la vetta per perderfi ivi giunte, o tramutarfi in altro ftato, ed allorchè fuccede, non è fempre il mese di Settembre, meno che poi il giorno, o la vigilia, degli otto dello fteffo mese;
(328 – Mafini Bol. perl. par.I pag. 449. 8 Settembre
“Quivi dal primo Vefpro, per tutto il giorno feguente, fi vedono da ogni parte e ancora per tutta l’ ottava di detta feftività, gran quantità di Formiche, con l’ali volarvi, e unitamente andarfene fù l’ altare della Madonna, già prima detta Chiefa, nel qual luogo muoiono fubito, ne’ mai più in tutto l’altro tempo fi vedono Formiche in quel luogo.
Quefto fanno ogni anno infallibilmente, quando il vento e la pioggia non le impedifca, che in fimil cafo traferifcono il lor viaggio alla prima giornata, nella quale ceffa l’ influffo del tempo, e fervono per rimedio al male di Formica ed altri ancora poichè quel Cuftode dopo averle benedette ne difpenfa al Popolo
Quefto Monte domina tutti gl’ altri circonvicini, a mezzo del quale, cioè lontano dalla Chiefa un tiro di ‘Mofchetto’ è un precipitofo balzo, nel quale è una grotta cavata a forza di fcarpello nel faffo, e vi fono due ftanze, l’ una poco più grande dell’altra, dove circa il 1540 abitava un Eremita, luogo che fu vifitato dall’ Arcivefcovo “Girolamo Boncompagni” addì 11 Ottobre 1655 “

Ne il Mafini ha mai veduto il luogo di cui effo parla, nè mai cercò di fincerarfi de’ fatti, per non ingannare fe fteffo, e chi alle cofe da lui dette prefta fede.
Chi, imitandoci, vorrà portarfi ful luogo e vorrà ripetere le locali offervazioni, che noi in quefto articolo efpontammo, troverà fempre più vero, che nulla abbiamo ommeffo per accertarfi de’ fatti, che efponiamo fenza tener dietro ciecamente all’ autorità di alcun iftorico e alla relazione delle perfone.)

variando nel tempo, nel mefe, nel giorno, e nel modo di afecuzione di quefto paffo fecondo gl’ anni, le ftagioni, le intemperie, od altre circoftanze, ed iftinti in tali animaletti dalla Natura impreffi, ed all’ umana cognizione per anco ignoti.

(329 – Rimane moltiffimo a fcoprirfi, per poter dire che qualche poco fi sà delle cofe della natura impreffi ed iftinti negli animali. “Swammerdàm, Uliffe Aldrovandi, il Sig Gould, e prima di loro ‘Plinio’, ed altri, preferfi il penfiere di tener dietro al’ andamenti, iftinti delle Formiche, ma troppo ci rimane per poter parlare di quefti animaletti ‘ex Chatedra’.)

Obbliganci la verità del fatto, di cui fiamo teftimoni oculari, a cofì afficurare il Pubblico, e la relazione ingenua di probe, avvedute, ed imparziali perfone abitanti nello fteffo o ne’ vicini territorj da noi in più modi interrogate, per afficurarci di quanto è fucceduto a tempi loro in pafsato, potendo perciò efsere certi di non ingannare noi fteffi, e di non ingannare chi legge con mafcherate ofservazioni e trafcurate ricerche.

Pwe foddisfare all’ altrui non meno, che alla noftra curiofità tre anni confecutivi abbiam tenuto dietro a quefti infetti, e da quanto ci è riufcito fopra luogo di poter vedere ne’ contorni dello ftefso, e ne’ lontani, e da quanto ci è riufcito di fapere intorno al dove nafcono, dove fogliono abitare, da quanto partono, come marciano e volano etc. ne nafce la relazione, che inferiamo in quefto articolo.

“Sono quefte Formiche alate di due grandezze; le une e le altre fono di colore ‘nero-lucido’, ed hanno le eftremità della tefta e dell’ano di colore ‘leonato’, o dicafi di ‘Caffè abbruftolito’.
Le maggiori fono lunghe due linee ed un quarto di piede parigino; una linea e tre quarti fono le minori.
Hanno le ali attaccate al fecondo globetto del loro corpo, e fporgono una linea di piede parigino più oltre della ultima deretana aftremità dello ftefso; e fotto alle prime ale ve ne fono altre due più piccole delle prime, e quefte fono nel loro maggior diametro larghe una linea della fteffa mifura, e circa due lunghe: tramandano i colori dell’ Iride, ofservate contro Sole, allo ftefo modo di quelle delle Mofche, alla cui figura e teffitura del tutto afsomigliano, eccettuandone l’ efsere più fine e più delicate;
In tutto il rimanente afsomigliano alle ordinarie Formiche, eccettuandone la bocca, la quale ofservata fenza microfcopio, rafsembra coftrutta a fimiglianza di quella delle Formiche ” Swammerdam ” chimate ‘operaie’.

Le morte, o fopite, che noi abbiam vedute in unofcatolotto confervate da quel gentiliffimo Arciprete, ed in varj luoghi della Chiefa, del Campanile, e della Canonica dallo fteffo abitata, fon tutte con la tefta incurvata verfo del proprio petto, nel rimanente fono tali quali vedonfi volanti e vive, eccettuandone una fpecie d’ interizzimento, o durezza, che le rende men paftofe e fleffibili di quello fono allor che vivono, o non fono nello ftato defcritto di affopimento.

Nafcono, o ravvivanfi quefte Formiche dentro la Città di Bologna, e pel fuo Territorio;
abitar fogliono ne’ fotterranei, o nelle feffure e crepature delle muraglie e de’ pavimenti; fogliono ufcire nel mefe di Maggio e di Giugno all’ aperto; e non vedonfi fare alcun ammaffamento di commeftibili; non fubito ufcite al giorno fi pongono a volare, ma adunanfi in flottiglie ed in fchiere, le quali ad altre riunite in feguito determinanfi poi al volo in numerofi battaglioni per l’ Aria.

Amano il bianco e coprono in un momento una tenda, un panno, una cuffia ed altra cofa simile, quando in effe coffe abbattonfi, o ufcite al giorno, o già difpofte al volo, o attualmente volanti.

Così almen fembraci dover concludere dall’ aver veduto ricoprire, e fare diventar nera con la loro moltitudine, una tenda di una feneftra di una camera da letto in ftrada S. Stefano di un noftro amico nel 1781, fulla quale pofavanfi da un foro del pavimento sbucando sul finire di Maggio; dall’effere ftata da capo a piè ricoperta la camicia di un muratore nel Luglio del 1769, mentre rimodernavafi il campanile di Livergnàno, colà forprefo da più battaglioni volanti di tali Formiche, fecondo ci fù afficurato da quel cappellano curato, dall’ aver veduto gettarfi a torme nelle cuffie, ne’ fazzoletti, ne grembiali, o zinali bianchi, delle donne che afcoltavano un panegirico di S. Antonio da Padova li 20 Giugno 1780 in “Rocca Pitigliàna” nella piazza aperta di quel luogo; dall’ aver veduto riempirfi da uno ftuolo di quefti infetti il grembiale della ‘Conforte’ compagna ne’ noftri viaggi nel territorio di Bisàno in Settembre del 1780, dall’ aver veduto volontieri gettarfi a ricoprire il bianco foglio diftefo nella noftra Tavoletta li 26 del fuddetto mefe, allorchè eravamo ne’ contorni del “Geffo di Saffatello” delineando la Cartavcorografica di quefto territorio.

Allorchè o il loro naturale iftinto, o la ftagione le obbliga a darfi al volo, feparanfi in fquadre, o battaglioni, le più grandi da per fe, e da per fe le più piccole; non s’ innalzan molto da terra dove non è fabbricato che gli ingombri il paffo, e alla finiftra le fchiere delle più piccolefieguono quelle maggiori, ma a conveniente diftanza, e ad una maggiore baffezza, che fuol’ effere, fecondo abbiam veduto in quefti tre anni ne’ quali abbiam tenuto dietro a loro andamenti, al di fotto della linea in cui le ultime delle grandi verfo terra fi mantengono volando.
La gran turba di ciafcuna fchiera di quelle volanti Formiche offerva un volato uniforme, e fempre progrediente allo fteffo modo avanti, ma invece di volare o quafi orizontalmente, od obliquamente come gl’ Uccelli, od altri animali, volan aggirandofi in circolo dall’ alto al baffo, e facendo tante circolazioni accentriche una dopo l’ altra fi vanno avvanzando alla volta di quefto monte che abbiam defcritto con un progreffo maggiore o minore, fecondo che fpira vèento al loro cammino contrario, o l’ aria è più quieta.
ma per quanto fia gagliardo il vènto non difpergonfi quefti animaletti, bensì fi avvicinano in tale cafo più verfo terra, e cofi profieguono imperturbabili il loro viaggio.

In un minuto primo due fchiere da noi feguitate con attenta offervazione in tempo che foffiava gagliardo, vento contrario alla loro direzione, facevano due piedi bolognefi di cammino, ficchè voleavi per effe lo fpazio di 42 ore per correre un miglio bolognefe.
Altre otto fchiere feguiate in varj territori del bolognefe ne’ tre anni di noftre offervazioni in tgempo di aria quafi quieta dal più al meno avanzavanfi per lo fpazio di otto piedi in un minuto primo, e però voleavi per effe il corfo di 10 ore e mezza per avanzarfi un miglio.

Da Territorj di Ròcca Pitiglìana, di Toleto, di Rordiàano, di Crevalcore, di Bifano, di Barbaròlo, di Caftel Nuovo di Bifano, di Pizzano, di Caftel de’ Britti, di Ciagnàno, della Cappella, di Geffo di Saffatello, offervate quefte volanti turbe, abbiam veduto tutte diriggerfi alla volta di quefto monte di “Zena” detto ‘ delle Formiche; e nelle turbe tutte da noi feguitate per più ore abbiam veduto effervi alcune Formiche, le quali tra mezzo alle altre vanno avanti e indietro a modo di foriere, e quando, volando all’altezza di un uomo, con alzare in mezzo alle volanti fchiere le mani e chiudere le due palme onde forprenderne alcune tra effe, dette condottiere, o foriere, non prendonfi, profiguon le altre imperturbabili il loro cammino; mà fe taluna di loro riefce di prenderne, in tale cafo quantità fi gettano addoffo alla perfona, che in detto modo le prenda.

Abbiamo altresì offervato, che ad ogni tanto diftacanfi due per due, e l’ una fopra l’ altra avvolgendofi fi fermano fopra qualche ripiano, o fulla perfona che le offerva; fe in ciò fare congiungafi, allo fteffo modo che foglion fare le mofche, ovvero tra loro baruffando fi percuotono e maltrattino non abbiam potuto offervare quanto era neceffario per deciderlo.
(328 – Swammerdam Bibl. Natura pag. 287 e feg, vuole che le alate Formiche fiano tutte di feffo mascolino, in tal cafo dovrà dirfi, che non eran che baruffe i loro aggruppamenti; mà noi dubitiamo, che il fuddetto autore non poffa avere offervato quanto bafta per afficurarfi fulla fua fede, che realmente tali fiano i fatti.)

Negli anni ne’ quali giungono quefte alate Formiche alla vetta del monte defcritto peronfi le più piccoli alle fue radici, e le più grandi a milioni da tutte le parti colàfù arrivando, gennanfi ovunque laffe e femivive indiftintamente nel terreno, fulle persone, nel tetto, nel campanile, nella Chiefa, fugl’ altari, nel pavimento, e per raccoglierne in quantità conviene diftender zinali, lenzuola, ed altre confimili cofe, ammaffandofene così quantità grande, ed è da avvertirfi, che quefti animaletti, innalzandofi prima per l’ aria, gettanfi fcagliandofi contro il terreno o le altre cofe già dette con veemenza e a modo di grandine.
Quelle che raccolgonfi da quell’ Arciprete e fuoi confcocj sì benedicono e quindi fi difpenfano al popolo, ed a tutti quelli che attribuifcono a prodigio ed a miracolo quefto paffaggio, e che per convalidarne la opinione afficuriamo fuccedere allo fteffo modo che ftampò il “Masini” già da noi citato (vedi nota 328), aggiungendo altrosì altre particolarità non vere, e da noi ficuramente non vedute ne’ tre anni, ne’ quali abbiam voluto di quanto abbiamo fin quì detto fincerarfi, per poterne al pubblico efporre una veridica relazione.

Si vuole che lo fteffo paffaggio fucceda nella vetta del Monte detto “Monte Armato” nel territorio di S. Andrea Valle di Sambro del territorio bolognefe, e nel Caftellino dette ‘delle Formiche’ del territorio modenefe; della fuffiftenza ei quefti afferti non potiamo accertarne il Pubblico, e lafciamo la cura a giovani patrj dilettanti delle cofe d’ Iftoria naturale di erudire fe fteffi e la letteraria Repebblica con più lunghe offervazioni, che a noi fono refe impoffibili dalla efuberante faraggine di cofe, alle quali dobbiamo attendere per condurre a fine la noftra intraprefa fatica.

Chiudiamo quefta noftra defcrizione con l’ avvertire, che la raccolta di quefti animaletti, che fi fà da quell’ Arciprete e Confocj e da concorrenti in quel monte, quando vere fiano le proprietà attribuite a loro corpicciuoli da “Uliffe Aldrovandi”
(331 – Arch. Ecc . Pifan. Diplomi e Privilegi * Alla pag. 336 è occorfo un errore di ftampa nella nota (331) nella quale in vece di ciò che ivi fi legge, dovea effervi quanto fegue: “Ulyffis Aldrovandi de Infettis lib. V pag. 517 e feguenti.) ,
e dagli autori da effo nel fuo libro degl’ “Infetti” nominati, merita di effer fatta maggiore attenzione, ed in maggiore abbondanza, particolarmente qualora prefi e manipolati nel modo accennato dal fuddetto autore e da quelli dallo fteffo citati, guarir ne poffan gl’ individui dell’ uman genere da lacun mali incommodi; e vie più qualora fuffifta, che fian valevoli a fupplire alla necefità di alcuni, per le quali, foddisfatte, utile ritraer ne potrebbero il generale dell’ uman genere, e alcune particolari famiglie.
Ed è finalmente da avvertirfi, che i corpicciuoli degl’ infetti defcritti confervanfi molti anni incorrotti ed intieri.

Era pieve ficuramente quefta Chiefa nel 1708, mà denominavafi “S. Maria di Barbarèfe”; chiaro rilevan ciò da una conazione dalla Conteffa Matilde fatta alla Menfa di Pifa nel mefe di Settembre del detto anno.
(332 – Arch. Ecc. Pifan. Diplomi e Privilegi).

Era caftello quefto Comune indubitatamente nel 1127, rilevafi ciò da un iftromento di donazione fatta da Alberto figlio di Raniero del fu. Prando da Saffiglione, e già da noi citato in quell’articolo.
(333 – Hactum ante caftrum Gene e furonvi trà teftimonj Raimundus caufidicue Gene, e Petrus cuiufdam Lamberti de Gena, e fu rogata da Teuzo notaro de Caftro Gena. Arch. di S. Mich. in Bofco Tom.1 num. 5)

Era padrone di tutto il monte di “Zena” nel 1293 “Simone Lambertini”
(334 – Arch. pub. Reg. di Aleffandro di Guido da Argile fo.50)
che il “Dolfi” afficura figlio di “Mandolino”;
(335 – Cron. pag. 438)
mà in detto anno lo vendette a “Brunino di Bianco Coffa” , dal quale forfe ereditaronlo i Fofcarari, che fecondo l’ Adinolfi lo poffedevano nel 1438, nel quale anno era padrone, fecondo effo, Rafaelle di Francefco della detta Famiglia.

Si fervì il comune di Bologna di quefta Chiefa per Forte e Rocca circa il 1296, e per tale effetto la riduffe, demolendola, ad un tale ufo, mà ceffate le guerre nel 1297 la fece riedificare a proprie fpefe il Configlio fpendendo in effa buona fomma di denaro.
(336 – Ghir. par. 2. pag. 349).

Tra li Tribuni del Popolo creati nel 1411 nella follevazione popolare contro il governo de’ nobili e della Chiefa fufcitata da “Pietro Coffolini” vi fù “Domenico da Zena”.
Che defidera effere iftruito di diverfe unioni e collazioni fatte di quefta Pieve, o a quefta Pieve dà Pontifici “LEONE X” nel 1517, e da “CLEMENTE VII” nel 1529, e 1530 veda nell’Iftituto la raccolta Racconiana tom.6 pag 250, 265, 280; e legga il Cafolari tom. 4. pag.410; chi vuole fapere i fondi a quefta Pieve appartenenti.

Eran le Chiefe a quefta Pieve foggette nel 1366 S. Andrea di Scaruglio di Monte Renzio in quefto elenco chiamata ‘de Schoboveto curie montis Fizoli’ per errore o di chi lo diftefe, o di chi copiollo; S. Maria di Caffano; S. Stefano di Monte Renzio, ivi detto de ‘Monte Rizioli’ per la fteffa addotta ragione; S. Dalmazio di Caffano; di S. Michele di Rocca Malapafqua.

Nel 1514 eilevafi dall’ elenco Anfaloni, che conferiva quefta Chiefa il Vefcovo di Bologna, e che era giufpadronato di “Ser Lodovico Mezzovillani”; avea le fteffeChiefe al fuo plebanato foggette, ma quella di Malapafqua al titolare di S. Michele univa quello di S. Maria.

Nel 1530 fi hà dall’ elenco S. Agata, che era giufpadronato del fuddetto, e che era notaro, che la conferiva il Vefcovo, e che eranvi due Canonicati, e deducefi che era unita la Chiefa di Rocca Malapafqua alla Pieve cò titolari di S. Giovanni, S. Michele e S. Maria.
dall’ elenco 1632 si sà che aveva fotto di fe le fteffe Chiefe, ma che alla Pieve fteffa era unita una Chiefa col titolare di S. Criftoforo, come erano unite S. Andrea e S. Stefano di Monterenzio, S. Andrea e S. Damaso, o Dalmazio, di Caffano, ed alla Ròcca dicevafi S. Michele di Pizzàno.
Ora hà nelle fua Congregazione la Chiefa di Caffano col titolare di S. Maria e S. Giuseppe; Monte Renzio con quello di S. Stefano, e la Villa di Saffo nero con quella di S. Maria, abbenchè nel Diario, e nei Montieri dicafi Saffo negro S. Pietro, del che abbiam già detto abbaftanza all’ articolo del detto luogo in quefta fteffa parte.