LA STORIA DELLA PROTEZIONE CIVILE
E INFORMATIVA
La storia della protezione civile in Italia, intesa come risposta ad eventi e calamità naturali, ha origini lontane;già nel medioevo infatti si hanno tracce di organizzazioni che prestano soccorso in occasione di grandi emergenze.
La protezione civile nasce come risposta dei cittadini alle emergenze territoriali ed ambientali, come terremoti, alluvioni, ecc.; sebbene molte delle attività e delle scelte che riguardano la protezione civile si manifestano a seguito di disastri e catastrofi, una parte importante dell’attività di protezione civile riguarda la prevenzione e la previsione di eventi e la messa a punto di un sistema organizzato in grado di fronteggiarli.
Prima dell’unità d’Italia i soccorsi in caso di calamità erano organizzati in modo molto differente da stato a stato; ogni stato aveva le sue leggi e norme in materia e nominava le proprie autorità preposte alle attività di protezione civile in caso di emergenza.
Già prima dell’unità d’Italia sono presenti in alcune zone per esempio delle nome antisismiche (seppur basilari) e il tema della sicurezza abitativa era affrontato già da alcuni secoli.
Con l’unità d’Italia non si tenne conto delle leggi presenti nei vari stati annessi, ma fu adottato da tutto il paese lo Statuto Albertino, che però non prevedeva, per esempio, nessuna norma antisismica, in quanto Piemonte e Sardegna, le regioni da cui è partito, non erano caratterizzate da un forte rischio geologico; di conseguenza vennero abolite quelle norme degli altri stati che prevedevano un minimo di regole edilizie antisismiche.
In questo periodo il soccorso alle popolazioni colpite da catastrofi non era considerato una priorità dello stato, ma veniva in qualche modo demandato alla generosità e allo spirito solidaristico dei singoli cittadini; in caso di forti calamità era prevista la facoltà di prefetti e sindaci di disporre delle proprietà private, ma la gestione delle emergenze era estremamente burocratica.
Un evento infatti veniva considerato emergenza solo quando arrivava sul tavolo del Presidente del Consiglio, a volte anche dopo giorni o settimane dal suo manifestarsi.
Un’emergenza inoltre veniva considerata nazionale solo se coinvolgeva strutture di pubblica utilità oppure obiettivi strategici per la viabilità.
Al verificarsi di tali eventi venivano mobilitati l’esercito e le forze dell’ordine e ad essi si affiancavano soccorritori volontari, facenti parti di enti religiosi o associazioni laiche, che spesso lavoravano in modo non coordinato tra loro.
All’inizio del novecento vengono emanate le prime disposizioni riguardanti le eruzioni vulcaniche, le alluvioni, gli uragani e nel 1908, dopo il terremoto di Messina, viene introdotta la prima normativa antisismica e la classificazione del territorio in zone di maggiore o minore interesse sismico.
Nel 1919 un’apposita legge fornisce le prime disposizioni riguardanti i soccorsi in caso di terremoti, attribuendone al Ministero dei lavori pubblici la direzione e il coordinamento.
La prima legge che definisce in modo organico la protezione civile è del 1925: essa individua nel Ministero dei lavori pubblici e nel Genio Civile gli organi preposti al soccorso in caso di calamità, coadiuvati dalle strutture sanitarie; successivamente viene previsto l’intervento anche di altri enti dello stato, quali i Vigili del fuoco, le Ferrovie, la Croce Rossa ecc.
I primissimi interventi in caso di calamità vengono affidati al Prefetto e ai sindaci.
Nel secondo dopoguerra si fecero diversi tentativi per mettere in piedi una legislazione strutturata ed organica in termini di protezione civile, ma in più di una calamità degli anni 60 fu dimostrata la scarsa efficienza di tali norme: l’alluvione di Firenze del 1966 e il terremoto del Belice del 1968 per esempio evidenziarono ritardi e mancanza di coordinamento tra i diversi soggetti intervenuti.
Anche a seguito di questi eventi si prende coscienza della necessità di provvedimenti legislativi in tema di protezione civile.
Nel 1970 viene emanata la prima vera legge che delinea gli interventi di protezione civile: è la Legge n. 996.
Con essa si precisano i concetti di calamità e catastrofe, si individuano i compiti affidati ai vari organi di protezione civile e come coordinare gli interventi nei confronti delle popolazioni colpite.
Tutte le attività vengono affidate al Ministero dell’interno e viene nominato un commissario per le emergenze, che ha il compito di coordinare i soccorsi in caso di disastro.
Viene inoltre istituito il Comitato interministeriale di protezione civile, con lo scopo di coordinare le attività dei vari ministeri e per la prima volta viene riconosciuta l’attività del volontariato di protezione civile.
Questa legge, seppur di fondamentale importanza, si limita a dare indicazioni sul modo di gestire l’emergenza una volta che si è verificata, ma eventi come il terremoto del Friuli del 1976 e quello dell’Irpinia del 1980, ne evidenziano i limiti.
Ancora una volta, solo a seguito di disastrosi eventi si accende il dibattito sulla protezione civile e in tale occasione si inizia a parlarne anche in termini di prevenzione e previsione.
All’inizio degli anni 80 iniziano a prendere forma norme e regolamenti che individuano nella protezione civile uno dei compiti primari dello stato.
Vengono individuati organi ordinari: il Ministro dell’Interno, il Prefetto, il Commissario di Governo per la regione e i Sindaci e nel 1982 viene istituito il Ministro per il coordinamento della protezione civile e il Dipartimento di protezione civile, che ha il compito di raccogliere materiale di previsione e prevenzione delle emergenze, predisporre piani nazionali e territoriali, organizzare e coordinare i soccorsi, promuovere le iniziative di volontariato.
Nel 1992, con la Legge n. 225, viene istituito il servizio nazionale di protezione civile.
Il primo responsabile della protezione civile è rappresentato dal Sindaco, che in caso di emergenza assume la direzione e il coordinamento dei soccorsi, organizzando le risorse comunali e predisponendo piani per fronteggiare i rischi specifici del territorio.
È il sindaco che fornisce la prima risposta all’evento, insieme all’amministrazione comunale e alle associazioni locali.
Quando un evento non può essere gestito a livello locale, devono essere mobilitati i livelli superiori: la provincia, la regione, lo stato.
La Legge n. 225, oltre a definire gli eventi di cui si occupa la protezione civile, definisce anche i compiti e le attività che riguardano il soccorso in caso di emergenza, ma anche la previsione e la prevenzione di tali eventi.
Gli eventi vengono suddivisi in tre categorie:
a) Livello comunale, locale
b) Livello provinciale e regionale
c) Livello nazionale
In caso di emergenza nazionale il coordinamento dei soccorsi viene affidato al Presidente del Consiglio (che può nominare dei commissari delegati) il quale può deliberare lo stato di emergenza, individuandone la durata e l’estensione.
La Legge n.225 riconosce il volontariato come componente del servizio nazionale di protezione civile, assicurandone la partecipazione nelle attività di previsione, prevenzione e soccorso. L’art. 11 di tale legge, individua come strutture operative del servizio nazionale:
• Corpo nazionale dei vigili del fuoco
• Forze armate
• Forze di polizia
• Corpo forestale dello stato
• I servizi tecnici nazionali
• La comunità scientifica
• La croce rossa iatliana
• Il servizio sanitario nazionale
• Le organizzazioni di volontariato
• Il corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico
Ognuna di queste strutture partecipa alle attività di protezione civile con le sue competenze tecniche, i suoi mezzi e le sue professionalità e sono periodicamente impegnate in esercitazioni e simulazioni, organizzate sia a livello locale sia a livello nazionale.
Questa norma prevede espressamente la partecipazione del mondo del volontariato alle attività di protezione civile e specifica che il servizio di protezione civile deve stimolare e coordinare le iniziative delle associazioni di volontariato.
Nel 1998 la legge Bassanini trasferisce parte delle competenze di protezione civile alle autonomie locali.
In particolare:
Stato: promuove e coordina le attività di protezione civile, delibera e revoca lo stato di emergenza in caso di eventi di tipo C, emana ordinanze ed elabora piani di emergenza nazionali, organizza le esercitazioni.
Regioni: predispongono piani di previsione e prevenzione dei rischi sulla base di quanto previsto dalla normativa nazionale, si occupano degli interventi di tipo B. Province: predispongono i piani di previsione e prevenzione a livello provinciale e si occupano degli interventi di tipo B.
Comuni: predispongono i piani di previsione a livello comunale, adottano i provvedimenti necessari per assicurare i primi soccorsi e attivano e organizzano il volontariato.
Con il D.Lgs. n. 300 del 1999 al vertice della protezione civile viene posto il Ministro dell’interno e l’Agenzia di protezione civile (che ha compiti tecnico-scientifici) alla quale vengono trasferite le fuznioni del dipartimento della protezione civile.
Un’altra importante norma in termini di protezione civile è l’istituzione del registro nazionale delle organizzazioni di volontariato di protezione civile:
le organizzazioni che intendono svolgere attività di protezione civile devono essere iscritte all’elenco nazionale dielle organizzazioni di volontariato di protezione civile, che secondo la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 novembre 2012 è composto da:
Elenco centrale: comprende le organizzazioni che hanno particolare rilevanza in caso di eventi di carattere nazionale.
ANPAS è iscritta nell’elenco centrale
Elenchi territoriali, definiti a livello di regione e provincie autonome: in esso sono iscritte le organizzazioni che intendono operare a livello regionale e locale.
Le organizzazioni che hanno i requisiti possono iscriversi ad entrambi gli elenchi.
La decisione di istituire un registro di protezione civile è dovuto al fatto che le attività di volontariato non devono essere improvvisate ma devono essere organizzate tenendo conto delle persone, dei mezzi e delle competenze di ciascuno, in un contesto di regole che hanno lo scopo di far lavorare in modo più efficiente le persone.
La Legge n. 225/1992 stabilisce che il sistema di protezione civile deve incentivare l’attività delle organizzazioni di volontariato.
Per dar seguito a questa norma è stato deliberato il D.p.r. n. 194 del 2001, che tutela le persone che svolgono attività di volontariato in protezione civile.
In particolare, l’articolo 9 di tale decreto stabilisce che ai volontari aderenti ad organizzazioni di volontariato iscritte negli elenchi nazionali e territoriali, che svolgono attività di soccorso ed assistenza in occasione di eventi, sia garantito:
- Il mantenimento del posto di lavoro, sia privato sia pubblico
- Il mantenimento del trattamento economico e previdenziale da parte del datore di lavoro
- La copertura assicurativa
Tutto ciò viene garantito per un periodo non superiore ai 30 giorni continuativi e fino a 90 giorni all’anno, periodo che viene esteso a 60 giorni continuativi e 180 giorni all’anno, nel caso venga dichiarato lo stato di emergenza nazionale.
Ai lavoratori dipendenti viene quindi garantita la percezione della retribuzione ed il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi; tale erogazione non viene fatta dalla protezione civile, ma direttamente dal datore di lavoro, il quale può richiedere al dipartimento di protezione civile il rimborso dei costi sostenuti.
I costi che possono essere chiesti a rimborso sono tutti quelli non strettamente legati alla presenza del lavoratore in azienda, per esempio la retribuzione lorda, il costo per tfr e i contributi, indipendentemente dalla qualifica e dal livello del dipendente; sono invece esclusi per esempio i buoni pasto, che non spettano al dipendente in caso di assenza dal posto di lavoro.
In caso di eventi di protezione civile il datore di lavoro è tenuto a consentire l’attività di volontariato, senza l’obbligo di preavviso e di concordare il periodo di assenza del lavoratore.
Il decreto infatti sottolinea il diritto del dipendente al mantenimento del posto di lavoro.
Il rimborso dei costi sostenuti dall’azienda per dipendenti impegnati in attività di protezione civile è previsto anche in caso di attività di formazione ed esercitazione, per un periodo non superiore a 10 giorni consecutivi o 30 giorni all’anno, purchè ciò sia stato preventivamente autorizzato dall’Agenzia di protezione civile; in questo caso occorre chiedere al datore di lavoro l’esonero almeno 15 giorni prima della prova.
Condizioni indispensabili affinchè vengano riconosciuti al lavoratore e al datore di lavoro i diritti sopra indicati sono che:
- l’associazione a cui il volontario appartiene venga attivata dalla autorità di protezione civile; per far ciò l’associazione deve essere iscritta ai registri di protezione civile.
- Non è previsto nessun intervento del singolo cittadino.
- L’attestazione di attivazione delle associazioni viene rilasciata dall’ente che coinvolge l’associazione; può essere per esempio Anpas nazionale, regionale oppure i coordinamenti provinciali.
- L’attestazione di presenza, con la quale si certifica che il volontario ha partecipato all’attività di protezione civile in un determinato periodo.
Questi due documenti servono per giustificare l’assenza del lavoratore dipendente dal posto di lavoro e sono necessari al datore di lavoro per richiedere il rimborso dei costi.
La richiesta di rimborso deve essere fatta su un’apposita modulistica reperibile presso il dipartimento di protezione civile.
Il D.p.r. 194/2001 riconosce anche ai liberi professionisti un rimborso per il mancato guadagno derivante dalla partecipazione ad un evento di protezione civile come volontario.
Tale rimborso viene calcolato in base alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, rapportando il reddito ai giorni di presenza all’evento, nel limite massimo delle ex 200.000 lire al giorno.
In questi casi il rimborso viene fatto direttamente dal volontario.
Coloro che hanno un contratto di collaborazione a progetto sono equiparati ai liberi professionisti, in quanto di fatto non hanno un vero e proprio vincolo di presenza; il rimborso alla protezione civile viene però richiesto, a differenza dei liberi professionisti, dall’azienda.
La modalità di richiesta di rimborso per i costi sostenuti dai datori di lavoro relativamente a dipendenti che hanno prestato la propria attività in occasione di eventi di protezione civile sono normati dall’articolo 10 del D.p.r. 194.
In tale articolo viene riconosciuto anche il rimborso alle associazioni di volontariato che hanno impiegato i propri mezzi e i propri volontari, purchè ciò sia stato autorizzato preventivamente.
Sono per esempio rimborsabili il consumo di carburante o i viaggi in treno e nave.
Possono inoltre essere rimborsati anche i costi relativi al reintegro di attrezzature danneggiate o perse durante l’attività.
Le richieste di rimborso devono avvenire entro due anni dalla conclusione dell’intervento.